Marsicovetere V., “Stress: sale della vita?”


Stress: “sale della vita?”

Vincenzo Marsicovetere

“Lo stress è il sale della vita, una carica fornita non solo alla sfera fisica anche alla sfera psichica purchè l’uomo impari a rilassarsi e ad entrare in rapporto più intimo, sereno con sè stesso e con gli altri”
(H.Selye, Stress senza paura, 1976)

Lo stress è inevitabile! E’ uno dei disturbi tipici del nostro tempo che, nell’eccezione negativa, comporta conseguenze di ordine psicologico, fisiologico o comportamentale. Nel presente lavoro si cercherà di comprenderne le cause, le conseguenze e le modalità per prevenirlo e fronteggiarlo, mettendo in atto proprie risorse, al fine di promuovere il benessere personale e la qualità della vita socio-relazionale

Spesso diciamo o sentiamo affermare “sono esausto”, “sono agitato ed irrigidito”, “sono stressato”, “che stress”, oppure “soffro di stress” ma cosa intendiamo indicare con tale termine?
Nel gergo comune ci si riferisce a quello stato di stanchezza mentale e fisica derivante da impegni faticosi che non si riescono a gestire e che ci sopraffanno tanto da impedirci di vivere serenamente il lavoro e/o la vita privata.

Ma qual è l’origine del termine stress?
Il termine deriva dal latino strictus (serrato, compresso, stretto) e nel XVII secolo venne utilizzato con il significato di “difficoltà”, “avversità”, “afflizione”. Successivamente, nei secoli XVIII E XIX, fu usato col significato di “forza, pressione, tensione o sforzo”, ed in campo ingegneristico, per indicare la capacità di un oggetto (es. una barra o una trave) di resistere agli sforzi ed alle pressioni a cui veniva sottoposto. Successivamente ha acquistato il significato definitivo: stato di tensione o resistenza di un oggetto o di un individuo che si oppone a forze esterne che agiscono su di esso.

Il neuroendocrinologo Hans Selye ha il merito di essere stao il primo a definire il concetto di stress in modo “organico” dandone la prima definizione scientifica in un noto articolo, A Syndrome produced by Diverse Nocuous Agents, comparso su Nature nel 1936. Questi riprendendo ed ampliando gli studi di W. B. Cannon (1932) che aveva introdotto il concetto di “reazione d’allarme” e ripreso la definizione di Bernard (1878) di “omeostasi” come “processi fisiologici coordinati che conservano la maggioranza degli stati costanti nell’organismo”, ed attraverso sperim,entazioni in laboratorio con cavie stabilì che a provocare lo stress fosse determinante l’interazione tra il soggetto e l’ambiente: “lo stress è la risposta strategica dell’organismo nell’adattarsi a qualunque esigenza, sia fisiologica che psicologica, cui venga a esso sottoposto. In altre parole, è la risposta aspecifica dell’organismo a ogni richiesta effettuata su di esso” (Selye, 1936). Selye, nello stesso articolo, definì questa reazione General Adaptation Syndrome (GAS).
La Health and Safety Commission del Regno Unito (HSC, 1999) definisce lo stress come “la reazione che le persone manifestano in risposta a eccessive pressioni o a sollecitazioni di altro tipo alle quali sono sottoposte”. Lo stress, dunque, genera una risposta a livello fisiologico (del Sistema Nervoso, Sistema Endocrino e Sistema Immunitario), reazione da stress, la cui causa è dovuta a stimoli esterni, stressor, che predispone l’individuo “alla lotta o alla fuga”, energia di adattamento, ossia ad un aumento della vigoria fisica che consente all’organismo di adattarsi e/o reagire al mutare delle condizioni ambientali.
In tale risposta adattiva possiamo distinguere tre fattori: gli stressor, l’individuo e l’ambiente (fig. 1).
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Fig. 1 Modello di risposta allo stress. Fonte: Sutherland and Cooper (1990)

Gli stressor possono essere di tipo fisico (rumori, esposizione al freddo o al caldo eccessivo, traffico, sovraffollamento, etc.), biologico/metabolico (infezioni, malattie, intossicazioni alimentari, etc.), psico-sociale (un colloquio o una prova d’esame, lutto, separazione o divorzio, mobbing, etc).

Tali stressor -in base anche all’intensità, frequenza e durata- portano all’attivazione del sistema endocrino e/o nervoso e influenzano l’entità della risposta:
-stressor elevati, ripetuti e prolungati possono abbassare le difese dell’organismo evidenziandone aspetti patologici;

-stressor nuovi, imprevedibili ed inevitabili possono indurre una risposta più estesa rispetto ad uno stimolo già noto, prevedibile ed evitabile.

Gli stressor agiscono sull’individuo, la cui risposta è determinata dal proprio personale patrimonio genetico, dalla componente psico-emotiva e fisica. Questi aspetti possono essere influenzati da precedenti esposizioni a fattori stressogeni. Lo stile di vita, l’alimentazione, l’attività fisica, la senescenza possono incidere notevolmente e far sì che l’individuo dia un soggettivo significato all’elemento stressante. Ed è così che le abitudini, le capacità, le preferenze e gli stessi stati emotivi dell’individuo non sono controllati dalla coscienza, ma guidano il nostro comportamento e contribuiscono a determinare la nostra personalità (Mishkine Appenzeller 1987; LeDoux 1998; Squiree Kandel 2002).

L’Ambiente, non solo nelle sue caratteristiche geoclimatiche, ma più in generale, negli aspetti legati all’interazione sociale e all’occupazione, è la sorgente degli stimoli stressogeni.
A tal proposito French e Kahn (1962) hanno evidenziato come fosse determinante il ruolo dell’ambiente esterno nel determinare l’esperienza dello stress nell’individuo. Cooper, Dewe e O’Driscoll (2001), sottolineano che lo stress è “il risultato di un processo che coinvolge l’individuo durante la sua interazione con l’ambiente, valutando questi contatti e cercando straegie per far fronte ai problemi emersi”. John Mason (1975), Seymour Levine (1980) e Jay Weiss (2001) comprovarono, attraverso studi scientifici, che lo stress si acuisce se non c’è scarico alla frustrazione, se non vi è sostegno sociale e se l’individuo non intravede una speranza di miglioramento.

Ma lo stress, di per sé, non è per l’organismo né un bene né un male: i cambiamenti, a livello fisiologico, derivanti da una situazione critica, sono una risposta adattiva che permette di affrontare meglio quello che avviene intorno. H.Selye (1976) ha identificato due tipi di stress: uno stress positivo, che definì EUSTRESS (dal greco “eu”, bene, buono), che consente di “rendere la persona in grado di aumentare la capacità di comprensione e concentrazione, di decidere con grande rapidità di mettere i muscoli in condizione di muoversi subitaneamente (per attaccare, difendersi, fuggire), di avere a disposizione l’energia adatta ad agire, e così via”, ed uno stress negativo, che definì DISTRESS, nocivo in cui “le condizioni di stress, e quindi di attivazione dell’organismo, permangano anche in assenza di eventi stressanti oppure che l’organismo reagisca a stimoli di lieve entità in maniera sproporzionata” (Gabassi, 2003; p. 167) quando si è particolarmente spossati, qualsiasi piccolo ostacolo aggiuntivo è in grado di portare improvvisamente ai limiti la possibilità di sopportazione.

Per cui,<< quando ci si sente padroni della situazione, lo stress diventa il “sale della vita”, una sfida e non una minaccia. Quando invece questo fondamentale senso di controllo viene a mancare, lo stress può provocare momenti di crisi con conseguenze negative per la nostra salute. In questo caso lo stress diventa “veleno mortale”>> (Selye, 1976)
Riassumendo possiamo affermare che la reazione di stress, dipendente dal significato che lo stimolo assume per il singolo individuo, avviene a seguito dell’esposizione a stimoli che possono ricoprire il ruolo di agenti stressanti, che portano l’organismo sano a fronteggiare, “combattendo o fuggendo”, minacce immediate avvertite come destabilizzanti al proprio equilibrio psicofisico

La reazione o risposta di stress
Ma qual è la sintomatologia dello stress? Come si manifesta?
Possiamo contraddistinguere i sintomi in fisici (mal di testa, difficoltà digestive, stanchezza,ipertenzione, etc.), cognitivi (difficoltà a prendere decisioni, a pensare in maniera chiara, distrazione, dimenticare le cose, etc), emotivi (ansia, tristezza, sfiducia in sè stessi, nervosismo, rabbia etc.) e comportamentali (mangiare compulsivamente, digrignamento dei denti, atti di prepotenza, difficoltà a portare a termine le cose, etc.). Un individuo reagisce allo stress attraversando tre fasi successive (Selye, 1976):

– fase 1 di allarme: le modifiche sono prevalentemente di carattere biochimico-ormonale che portano l’organismo ad attivare i prorpi meccanismi di difesa. In questa fase iniziale l’organismo attiva tutte le sue risorse per agire immediatamente, secernendo ormoni che provocano cambiamenti a livello organico, si attiva il SNA (Sistema Nervoso Autonomo), per mezzo della secrezione di Adrenalina, in risposta allo stressor: il cuore accellera i battiti, si innalza la pressione sanguigna, aumenta l’attività respiratoria, i muscoli sono in tensione, l’efficienza mentale diminuisce.
– fase 2 resistenza: l’organismo si adatta all’azione nociva dell’elemento stressante e aumenta le capacità di resistenza. Tale capacità comporta un oneroso dispendio energetico in quanto l’organismo funziona ad un ritmo più elevato: aumenta la produzione di cortisolo che ha, come conseguenza, la soppressione delle difese immunitarie che, se di breve durata, non destano alcuna preoccupazione ma, se prolungata, può portare alla riduzione delle capacità difensive dell’organismo (annullando l’efficacia di milioni di linfociti B e T).
– fase 3 esaurimento: se i fattori di stress si protraggono nel tempo, l’organismo non riesce a fronteggiare l’azione dello stressor (per esaurimento delle energie a disposizione) con conseguente cedimento delle difese. Ciò può portare all’insorgenza di vere e proprie patologie, nocive per l’organismo in quanto causano alterazioni permanenti sia dal punto di vista fisiopatologico che psicologico e comportamentale

Partendo da queste teorizzazioni si evince che di fronte ad eventi stressanti di varia natura la reazione allo stress risulta “aspecifica”: “lo stress si comporterebbe, in condizioni particolari, come un induttore aspecifico della malattia che agirebbe in associazione con i fattori specifici” (Paolo Pancheri, 1980). Riflessioni scientifiche successive hanno ampliato le conoscenze sul fenomeno stress (Caprara e Borgogni, 1988; Baiocco e al, 2004) ponendo interesse, oltre ai fattori bio-fisiologici di risposta allo stress, su:

– fattori psicologici, propri dellindividuo, come le differenze ed il patrimonio individuale, le esperienze soggettive passate che possono “influenzare il sistema psicologico e quindi avere un impatto emozionale oggettivo” (Baiocco e al, 2004) “nel determinare le soglie, le intensità e le forme delle diverse manifestazioni dello stress” (Caprara e Borgogni, 1988).
-fattori sociali e contestuali che influenzano le capacità dell’individuo di adattarsi alle situazioni percepite come minacciose per il equilibrio psicologico (Baiocco, 2004)
Per cui non è più lo stressor ad essere oggettivo ma è il significato che l’individuo conferisce a tale stimolo a produrre una risposta, qualitativamente differente, e ad elicitare emozioni in riferimento a quello specifico contesto sociale ed ambientale.
R. S. Lazarus, docente di psicologia presso l’Università di Berkeley in California, ha evidenziato l’interazione, definendola “reciprocità causale”, tra fattori cognitivi, emotivi e socio-ambientali: “la persona pensa e agisce e quindi trasforma la relazione persona ambiente; l’informazione di ritorno dall’ambiente (feedback) su tale trasformazione è ri-presentata alla persona attraverso l’attività cognitiva” (Lazarus–Launier, 1978). Tale studioso sottolinea, dunque, come l’individuo sia attivo, cognitvamente ed emotivamente, nell’interagire con l’ambiente al fine di trovare nuove modalità di adattamento (Lazarus e Folkman, 1984) e riconosce, nella capadità del soggetto di “interpretazione valutativa”, l’influenza nell’attivazione del processo di stress nel considerare una situazione come minacciosa, sgradevole o come una sfida che si è in grado di affrontare in modo efficace (fig. 2): “Nell’identificare una situazione come pericolosa bisogna formulare una serie di giudizi quasi simultanei. Il giudizio iniziale che Lazarus definisce ‘valutazione primaria’ è quello che individua la situazione come minaccia, e ne valuta la possibilità, l’imminenza e il grado di danno potenziale.

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Fig. 2 Modello dello stress e del Coping. Fonte: Lazarus e Folkman, 1984

Poi c’è la ‘valutazione secondaria’: una stima delle proprie risorse difensive, cioè delle proprie capacità di affrontare o neutralizzare il danno. Il rapporto tra i fattori negativi della ‘valutazione primaria’ e i fattori negativi della ‘valutazione secondaria’ costituisce il rischio percepito, il quale, a sua volta, determina l’intensità dell’ansia” (Beck, 1984). Dunque se uno stimolo non è valutato, consciamente o incosciamente, “importante” per l’individuo non si riscontra attività emozionale e, conseguentemente, “una eventuale reazione non può essere considerata come stress psicologico” (Pancheri, 1980) e come affermava Epitteto (120 d.C.): “più che dagli eventi l’uomo è turbato dalla sua opinione degli eventi. Non è terribile la morte, ma l’etichetta di terribilità che le diamo. Problemi, turbamenti, angosce sono nei nostri pensieri”.

Strategie di coping
Per cercare di risolvere e superare le condizioni stressanti, l’individuo mette in atto, a seguito dell’appraisal (“valutazione emotiva dell’evento”, Lazarus, 2006), modalità di coping (dall’inglese to cope con significato di “fronteggiare”, “rispondere in modo efficare”, “gestire attivamente”). Più in dettaglio le modalità di coping sono dirette sia a risolvere l’evento causa di stress sia a gestire le risposte emotive collegate ad esso (Seligman e Csikszenmihalyi, 2000). Attraverso lo sviluppo di questi due aspetti è possibile raggiungere uno stato di benessere che comporta, appunto, una certa reattività dell’individuo come soggetto attivo, e non passivo, nella gestione di una situazione.

In questo processo sono da considerarsi fondamentali le componenti psicologiche quali l’autostima, il senso di autoefficacia, di capacità di controllo degli eventi (locus of control). Lo sviluppo di un elevato self-efficacy individuale o di ficucia nelle proprie capacità (Bandura, 2002) così come l’ottimismo, l’estroversione possono favorire un senso di controllo sugli episodi fonte di stress, portando l’individuo ad avere la sensazione di non essere vittima degli situazioni e delle proprie risposte emozionali.

In uno studio condotto presso l’Università del North Carolina dalla studiosa Barbara Fredrickson (2013) è stato evidenziato (attraverso misurazioni del battito cardiaco, della pressione arteriosa, dell’ampiezza delle pulsazioni) come individui “ottimisti” e “appagati” riuscivano a gestire meglio situazioni negative riuscendo a superarle in modo più rapido rispetto ad individui pessimisti o tristi e che una buona predisposizione mentale può influire positivamente sui nostri geni.
Dunque un atteggiamento “positivo” comporta una maggiore sensibilità nel cogliere i segnali che arrivano dal corpo e dall’ambiente permettendo di predisporre ed adottare comportamenti più idonei ed opportuni evitando un effetto “anestetico” che non permette di cogliere i segno di allarme in quanto le proprie risorse sono esaurite.

Cerchiamo di mettere a confronto come ed in cosa risultano differenti gli ottimisti ed i pessimisti nell’affrontare, attraverso strategie di coping, eventi stressanti (Degni, 2007).
In uno studio condotto da Iwanaga et al. (2004) sono stati messi a confronto 32 soggetti “ottimisti” e 32 soggetti “pessimisti”. E’ emerso che gli ottimisti adottino strategie di coping attivo mentre i pessimisti utilizzano strategie di coping passive. Ossia gli ottimisti affrontano le difficoltà e dimostrano un miglior controllo sia di se stessi sia delle prorpie emozioni mostrando maggior rapidità nell’elaborare e nel trovare modalità alternative per affrontare il problema emerso: riescono a dare una priorità agli obiettivi da raggiungere, sono più flessibili ed aderenti alla realtà, sono attivi nel valutare il problema cercando di capire gli elementi favorevoli della situazione, cercano di valutare soluzioni alternative ed in tal modo riescono a contenere reazioni negative come l’ansia, l’impotenza, la preoccupazione. Di contro i pessimisti risultano affrontare le difficoltà con un atteggiamento più rassegnato: cercano di evitarle, sembrano incapaci di elaborare piani alternativi, non intravedono vie d’uscita se non seguire e ripetere gli stessi piani con conseguenti reazioni di ansia e depressione. Oltre a ciò gli ottimisti presentavano un minor livello di ostilità e risentimento mentre nei pessimisti emergevano idee di vendetta e di rivalsa ed un livello di tolleranza basso. Questi risultati indicavano che il forte stress dimostrato da pessimisti era dovuto alla bassa efficacia delle strategie di coping adottate.

Da quanto emerso è possibile concludere che gli individui maggiormente oppressi da condizione di stress hanno una ridotta conoscenza di sé e la propria autopercezione è distorta.
Fig. 3 Coping attivo e passivo nella gestione dello stress.
Fonte: http://crescerefiglialtrui.typepad.com/crescere_figli_altrui/2014/07/stress-depressione-e-coping-in-adolescenza.html

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Si riporta, a titolo esemplificativo, la tabella (fig. 3) riportante le varie pratiche che possono essere messe in atto per affrontare il problema dello stress. Coloro che tendono ad usare strategie di coping attivo, rispetto a coloro che usano strategie di coping passivo, hanno minori probabilità di sperimentare segni di malinconia o fenomeni depressivi. Si possono quindi individuare quattro possibili strategie di coping ricorrenti (Lazarus, Folkman, 1984) :

1. ricorrere alla strategia del controllo che tende a dominare attivamente la situazione difficile, stabilendo degli obiettivi da raggiungere (controllo cognitivo), coordinando le proprie attività (controllo comportamentale) ed evitando di lasciarsi prendere dal panico (controllo emotivo).
2. adottare strategie di sostegno sociale chiedendo aiuto sia a persone competenti, per riceverne consigli e suggerimenti (sostegno informativo), sia a persone vicine per condividere con loro le proprie esperienze (sostegno affettivo) e per svolgere attività per contenere lo stress (cooperazione per distrarsi).
3. utilizzare la strategia del rifiuto ovvero fare finta che il problema non esista (negazione), distrarsi facendo altre attività; così facendo però si creeranno difficoltà a descrivere i propri vissuti (alessitimia).
4. adottare la strategia del ritiro: cercare di non pensare al problema (ritiro mentale), evitare la situazione difficile (ritiro comportamentale) e ricorrere ad altre attività per non affrontarla (dipendenza).

Come gestire lo stress
Siamo tutti in pericolo di essere vittime dello stress. Ogni individuo ha una propria vulnerabilità.
Come abbiamo osservato in precedenza la conoscenza di sé stessi e delle proprie risorse sono fondamentali per prevenire e dunque poter modificare quelle condizioni soggettive che permettono di gestire fenomeni di stress. Elementi soggettivi che, in caso di tensione, vanno potenziati per poter cogliere anticipatamente i segnali di sofferenza e di disagio.

Due sono i processi psicologici che, maggiormente, permettono di far fronte e di avere la meglio sugli eventi:
– La valutazione: è il processo mentale mediante il quale diamo ad un evento un significato soggettivo, personale.
– Il coping: è l’insieme dei tentativi per controllare gli eventi ritenuti difficili o superiori alle nostre risorse.

A fare la differenza tra salute e malattia sono anche le emozioni: le emozioni di valore positivo e quelle di valore negativo influenzano in modo diverso il nostro stato di salute. Gli studiosi concordano sul fatto che la felicità, la serenità e il ridere hanno influenze biochimiche, terapeutiche o profilattiche opposte a quelle dell’ansia o della collera.

Per quanto la cura dei sintomi e dei disturbi da stress, la letteratura è molto vasta e le indicazioni tra le più diverse. Sebbene nei casi di maggior gravità possono essere necessari radicali mutamenti nello stile di vita della persona, nella maggior parte dei casi è sufficiente disporre di nuove e più efficaci strategie per affrontare e superare determinate situazioni critiche: “possiamo imparare ad avere maggior controllo del corpo e della mente. Questo ci consentirà di cambiare il modo di vedere la realtà. Inoltre ci aiuterà a modificare quelle reazioni che possono trascinarci in situazioni che creano stress e lo peggiorano” (F. Shapiro, 2013).

In alcuni casi comprendere cosa c’è dietro alle nostre problematiche personali, potrebbe bastare. Attraverso esercizi di autocotrollo è possibile rimanere “sintonizzati” sulle proprie reazioni per riconoscerle in modo rapido. Ognuno dovrebbe prendersi cura della propria salute mentale come fa per quella fisica. Come hanno dimostrato vari studi l’attività fisica anche minima, come il passeggiare per una trentina di minuti 3-5 giorni la settimana, una corretta alimentazione, l’assumere integratori alimentari contenenti acidi grassi omega-3, dormire per un numero sufficiente di ore, possono essere metodi validi per la nostra salute mentale portando ad un attenuare aspetti depressivi.

E’ importante sottolineare e ribadire l’importanza dell’avere consapevolezza dei propri limiti senza per questo sentirsi delusi o frustrati. A volte sono le esperienze passate, i ricordi negativi non elaborati che possono condizionare la riuscita in alcune situazioni portandole a viverle come stressanti e “di venire risucchiati da stati emotivi negativi o di prendercela con noi stessi perché quello che ci accade ci sembra che ‘non abbia una spiegazione’. In realtà, ce l’ha. Si tratta semplicemente di un meccanismo di causa ed effetto. Talvolta mettiamo troppa carne al fuoco e alla fine ci esauriamo” (F. Shapiro, 2013).

Se lo stato di stress permane, ci si continua a sentire sopraffatti, quando quel senso di inquietudine persiste, scuotendoci e lasciando segni, o quando i sintomi indicano un peggioramento dello stato psicologico è opportuno non sottovalutarli e rivolgersi ad un professionista, psicologo o altro esperto abilitato della Salute Mentale per poter conseguire, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OSM), “non soltanto l’assenza di malattia o infermità, ma anche uno stato di assoluto benessere sul piano fisico, mentale e sociale”. Questi potrà aiutare ad apprendere come gestire in modo efficace lo stress, facilitando l’individuo nell’identificare le situazioni o comportamenti che contribuiscono a generare ansie e favorendo lo sviluppo di un piano di intervento atto a promuovere il benessere liberandosi da stili di vita disfunzionali. Per cui l’aiuto di un professionista potrà “aiutare non solo nell’acquisizione di uno stile di vita più funzionale, ma anche nel raggiungimento di una maggiore consapevolezza nella gestione della propria quotidianità” (Andronico, 2015).

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