Francesco Aragona – LA MEDICINA FONDATA SULLE EVIDENZE SCIENTIFICHE


Francesco Aragona

LA MEDICINA FONDATA SULLE EVIDENZE SCIENTIFICHE

Quali terapie sono efficaci e quali sono inutili o addirittura dannose ? Da secoli i medici si sono posti questa domanda ma solo di recente hanno elaborato un approccio che permette di distinguere ciò che è efficace da ciò che non lo è. Questo approccio è la Medicina basata sulle prove di efficacia – nota anche come EBM (Evidence- Based Medicine, Medicina basata sulle Evidenze), che ha rivoluzionato la pratica medica, trasformandola da impresa di volenterosi incompetenti (e talvolta ciarlatani) ad attività sanitaria che ha permesso gli straordinari progressi degli ultimi decenni.

La Medicina pre-scientifica

Scrive lo storico della scienza David Wootton: “Da 2400 anni i malati hanno creduto che i medici facessero loro del bene: per 2300 anni si sono sbagliati” (1). In pratica, per quasi tutta la storia dell’ umanità i trattamenti medici non solo non hanno curato alcuna malattia ma hanno spesso causato o accelerato la morte dei pazienti. Per secoli la medicina si potrebbe riassumere nella massima: il paziente vive di più se sta lontano dal medico.
Benchè lo studio delle discipline scientifiche è spesso impostato come una sequenza ininterrotta di successi e nuove scoperte, le cose in realtà sono molto più complesse e gli errori, le cantonate e le vie senza uscita hanno avuto un ruolo predominante. Purtroppo, mentre un cuoco può rimediare ad un piatto mal riuscito con una salsa piccante ed un architetto può consigliare ai suoi clienti di piantare una vite americana, l’ errore medico si traduce spesso in una lunga fila di pietre tombali. Vediamo alcuni esempi.

La Teriaca (2)

Il più famoso dei farmaci, che ha tenuto banco per oltre 2000 anni, è la teriaca (o triaca), un intruglio composto da una cinquantina di elementi, tra cui la carne di vipera e la polvere del corno dell’ unicorno (in realtà il dente del narvalo).
Sarebbe stata inventata da Andromaco, medico di Nerone (I secolo d.C.), il quale descrisse la sua ricetta (De Theriaca) in versi, per poter meglio memorizzare ingredienti e dosi. Gli ingredienti potevano variare in base alle indicazioni ma ciò che non mancava mai era la carne di vipera, per le sue supposte virtù antiveleno.
Galeno, il grande medico greco vissuto a Roma nel II secolo d.C., nutriva tanta fiducia nella teriaca da definirla “domina medicinarum” (la regina dei medicamenti).
Nel corso dei secoli le indicazioni al suo impiego si estesero dal morso o puntura di animali velenosi alla peste, al colera, all’ epilessia e all’ impotenza sessuale. La fede nel veleno di vipera era talmente radicata che in Francia, alla fine del Seicento, per guarire dalla malaria (della quale non si conoscevano le cause) era uso
mangiare carne di capponi morti in seguito al morso di vipere.
Nella Repubblica di Venezia veniva preparata una volta l’anno con una pomposa cerimonia alla presenza dei Priori e dei Consiglieri del medici, e a Bologna dinanzi al popolo e alle massime Autorità nel cortile dell’Archiginnasio.
Esistevano ferree leggi per l’ “esclusiva” della preparazione e del commercio della teriaca. Una norma contenuta nello Statuto di Pisa del 1453 precisa che “niuna persona sottoposta a tale arte non possa
comperare né fare comperare per nessuno triacha di Genova o di qualunque altro luogo fossi fatta fora della città di Pisa, et solamente debba vendere alla sua bottega triacha fatta in Pisa et mescolata insieme co medici et tutta l’Auctorità di detta arte”, pena il pagamento di multe salatissime.
Lo stesso avveniva a Venezia, ove gli ordinamenti prevedevano leggi severe (a volte anche il rogo), per chi fosse stato scoperto a commerciare preparazioni sofisticate.
L’uso della teriaca continuò fino alla metà dell’Ottocento. Nonostante i dubbi che nei decenni andavano
addensandosi sulla sua reale efficacia, ancora nel 1904 l’autorevole Bulletin de Thérapeutique assicurava che la teriaca “è dotata di virtù antisettiche e diuretiche”.

Purghe, emetici, clisteri e salassi

La loro pratica rispondeva alla teoria ippocratica per cui le malattie erano causate da uno squilibrio di quattro fluidi (o umori) corporei: sangue, bile gialla, bile nera e flemma. Poiché la malattia era causata da un ristagno di liquidi, il clistere, il salasso o il vomito erano la panacea per curare pressoché ogni malanno. Luigi XIV
aveva adottato il clistere come normale prassi igienica quotidiana, tanto che il XVII secolo può essere considerato il periodo di massima diffusione della pratica del clistere in Europa.Tale pratica rimase in voga fino alla metà del secolo scorso; basti pensare alla vecchia abitudine di assumere l’olio di ricino o il sale inglese per purificare l’organismo a ogni cambio di stagione.
Il salasso fu una pratica diffusa per secoli in Europa (in alternativa alla incisione della cute potevano essere usate le sanguisughe) e venne importato dai coloni in America, dove divenne popolarissimo. La sua vittima più illustre fu George Washington, un gigante di un metro e novanta, che morì dopo aver subito in 24 ore il salasso di metà del suo sangue per “rimettersi” da una caduta da cavallo occorsa il giorno prima.
Nonostante alcune opinioni contrastanti, la pratica del salasso continuò fino a tutta la metà dell’ Ottocento (nel 1833 la Francia importò 42 milioni di sanguisughe !). A parte la frequente inutilità della pratica, l’uso dello stesso bisturi per salassare tutti i pazienti (e la scarsissima igiene personale) era spesso causa di gravi
infezioni.
Con simili pratiche non è strano che i medici fossero fatti oggetto del sarcasmo di commediografi e pittori; basterà ricordare il Malato immaginario di Moliere con la lunga lista dei clisteri curativi (“Clysterium donare, postea seignare, ensuita purgare”) e l’ incisione di William Hogarth, La compagnia dei Becchini del 1736 (Figura 1).
Nell’ opera vengono presentati dodici medici riuniti intorno ad una matula, un recipente contenente urina che veniva utilizzato per la uroscopia (uno di loro è colto nell’ atto di assaggiare l’ urina). Sopra le loro teste sono raffigurati tre ciarlatani, specialisti nell’ arte di aggiustare ossa e curare le affezioni oculari, ben noti ai
londinesi dell’ epoca.

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Fig. 1

Breve storia della sifilide e della sua cura
Alla fine del ‘400 compare in Europa una nuova malattia, che ha le caratteristiche della sifilide, probabilmente portata dai marinai di Colombo di ritorno dal Nuovo Mondo. Oggi la sifilide si cura con una
iniezione di penicillina; ma come è stata “curata” per secoli ?
Poiché greci e romani usavano il mercurio negli unguenti per la cura di malattie della pelle e come cosmetico, si pensò di usarlo anche per la cura delle manifestazioni cutanee della nuova malattia.
Veniva utilizzato un unguento di mercurio e grasso cui venivano aggiunte le più disparate sostanze, inclusa la saliva umana (ma di uomo a digiuno!). Con questi unguenti i pazienti venivano strofinati da una a quattro volte al giorno, in una camera ermeticamente chiusa tenuta a temperatura altissima. Dopo la frizione
venivano messi a letto, avvolti accuratamente in parecchie coperte di lana, con la proibizione di cambiare per un mese la biancheria affinchè il mercurio producesse i suoi benefici effetti. Ai pazienti purgati e salassati veniva dato per vitto qualche brodo ed eccezionalmente qualche tuorlo d’ uovo (i medici seguivano la massima ippocratica di non nutrire gli ammalati perchè così non si nutriva il male). Non è strano che qualche paziente- salassato, denutrito e disidratato- morisse per gli effetti delle cure prima che per
gli effetti della sifilide.
La cura non era giudicata efficace se non aveva come effetto la salivazione, che all’epoca si riteneva fosse il mezzo attraverso il quale il male veniva eliminato dal corpo (in realtà la salivazione è il sintomo più comune dell’ intossicazione da mercurio).
I problemi causati dall’ uso del mercurio furono talmente tanti che a partire dal 1517 fu sostituito dal decotto di guaiaco o “legno santo”, pianta che all’epoca cresceva solo in America e che gli indigeni del luogo utilizzavano per la cura delle lesioni della sifilide. Anche il guaiaco ebbe vita breve e si passò a rimedi del mondo animale come il veleno della vipera e la carne della tartaruga. Visto l’ insuccesso dei nuovi rimedi si ritornò all’ uso del mercurio, questa volta sotto forma di fumigazioni, che venivano praticate ponendo il paziente all’interno di una “botte”, una specie di stufa mercuriale con all’interno uno sgabello, sul quale il paziente veniva fatto sedere. La cura consisteva nel versare, in un braciere che si trovava all’interno della stufa, la relativa dose di cinabro da cui, per sublimazione, esalavano dei vapori di mercurio, che erano poi
assorbiti dal corpo del paziente in piena sudorazione.

Nel 700 il medico siciliano Giuseppe Campailla modificò la forma originale della botte, che aveva un foro che consentiva ai malati di tenere fuori la testa e di non respirare i vapori di mercurio. Campailla, ritenendo importante che venissero respirati questi vapori, eliminò il foro costringendo i pazienti ad essere rinchiusi
completamente all’interno di queste botti. Lo strumento prese il nome di “botte di Campailla” o “botte di Modica”, dal nome della cittadina in cui il medico visse: tre di esse sono ancora conservate nel museo a lui dedicato dalla sua città (Figura 2). Naturalmente, dopo le fumigazioni, seguivano purganti e digiuni, come
abbiamo visto per le frizioni.

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Fig. 2

Ma le fumigazioni spesso uccidevano i malati: le vittime morivano di infarto, di disidratazione e di soffocamento mentre venivano riscaldate in un forno respirando fumi di mercurio. Quelli che sopravvivevano alla sifilide non potevano evitare le conseguenze dell’ avvelenamento da mercurio: perdita dei capelli e dei denti, anemia, insufficienza renale ed epatica ed un vaniloquio incontrollabile. Si abbandonarono perciò le fumigazioni e si continuò con la terapia a base di frizioni utilizzando però pomate depurate delle sostanze che ne rendevano la formula complicata e maggiormente dannosa.
Nel frattempo la scoperta della circolazione del sangue fatta da Harvey segnò la fine della teoria umorale: l’agente causale della malattia non andava allontanato mediante la salivazione ma trattato con un composto in grado di neutralizzarlo. Si cominciò a somministrare il sublimato corrosivo (il sale di mercurio dell’ acido cloridrico): ingerito, iniettato o applicato localmente, l’ avvelenamento da sublimato corrosivo diventò così comune che i suoi sintomi erano spesso confusi con quelli della sifilide.
Per questo motivo alla fine del 700 il medico napoletano Domenico Cirillo raccomanderà quello che venne chiamato “il Cirilliano”, vale a dire il sublimato corrosivo unito a grasso di maiale per creare una pomata da applicare a gambe e piedi. Una lozione classica utilizzata nel 1900 era “l’unguento napoletano“: 10 parti di mercurio e 10 parti di grasso.
Nel 1910 al mercurio fu abbinato un composto arsenicale commercializzato come Salvarsan, che però ebbe vita breve per i frequenti e gravi effetti collaterali.
Infine, dalla metà degli anni ’40 del Novecento la sifilide iniziò ad essere curata con la Penicillina, che mise fine al regno del mercurio, durato oltre 450 anni.

La Chirurgia

Per secoli la chirurgia, in assenza di anestetici efficaci, era limitata alle amputazioni e all’ incisione degli
ascessi (3). Se il paziente aveva sufficiente forza da superare l’ intervento, l’ infezione della ferita era la
regola e conduceva il più delle volte a morte. In un articolo del 1867, dal titolo Hospitalism, il chirurgo sir
James Simpson riferiva le cifre sulla mortalità postoperatoria negli ospedali d’ Europa: 60% a Parigi, 46% a
Zurigo e cifre equivalenti arrivavano dalle altre città europee e dall’ America. Simpson, commentando le
condizioni di sporcizia in cui venivano eseguite tutte le procedure chirurgiche, sottolineava:
“L’uomo posto sul tavolo operatorio in un nostro reparto di chirurgia è esposto a più rischi di morte del
soldato inglese sul campo di Waterloo”.
E si riferiva agli ospedali delle prospera Inghilterra vittoriana ! Di fatto, la cosa incredibile è che un paziente
potesse sopravvivere alle cure che gli venivano prestate.

Strafalcioni da Nobel

E’ il titolo del libro che Silvano Fuso ha dedicato ai passi falsi, a volte imbarazzanti, dei premi Nobel (4). E’ una lettura istruttiva per ricordarci che nessuno è immune da errori e fissazioni, cui il prestigio del premio ha rischiato di conferire un’ attendibilità fasulla. Di seguito alcuni esempi.
Johannes Fibiger fu premiato nel 1926 per la scoperta che nei topi i carcinomi intestinali erano provocati da
un verme; i topi si sarebbero ammalati per aver mangiato scarafaggi colonizzati dal verme. Nessun ricercatore, a parte lui, ha mai visto questi vermi.
Ancora oggi è misteriosa la premiazione nel 1949 del neurologo Edgar Monitz per l’idea, mai confermata, circa le alterazioni dei lobi frontali nelle malattie mentali. Su di essa si basò la pratica della lobotomia, che mutilò migliaia di malati in tutto il mondo.
Linus Pauling, Nobel per la chimica nel 1954 e per la pace nel 1963, si incaponì a propagandare la vitamina C in dosi gigantesche come panacea per tutti i mali, cancro compreso. Nessuno dei suoi risultati è stato mai confermato.
Il dr Wagner-Jauregg fu premiato con il Nobel nel 1927 per la proposta della malarioterapia (inoculazione di
sangue di malarico) nelle malattie mentali. Pratica inutile e pericolosa, di cui nessuno ha mai confermato l’
efficacia.

La medicina pre-scientifica nell’ era di Internet

Una rapida ricerca su Internet svelerà l’ esistenza di cristalloterapeuti, riflessologi, pulitori dell’ aura e altri
straordinari guaritori che vantano le loro capacità senza il sostegno di prove scientifiche.
Potete comprare una fascia cervicale takionica a soli 99,99 euro. I takioni sono particelle che possono
viaggiare più veloci della luce, la cui esistenza è stata ipotizzata ma finora mai dimostrata. E’ perciò straordinario che qualcuno sia riuscito a sfruttarli per curare la vostra artrite cervicale ad un costo ragionevole.
Su Internet potete trovare una tecnica per l’ attivazione del DNA multidimensionale, che vi permetterà di raggiungere la vostra dimensione divina. A tale scopo potete scaricare gratuitamente un libretto a firma Diego Cozzuol dal titolo “Intenti per l’ attivazione del DNA multidimensionale”. E’ un dettaglio trascurabile il fatto che di detto Cozzuol non vi è traccia nel più grande database biomedico del mondo.
L’ offerta terapeutica si allarga infine alla terapia reiki, capace di intervenire sui vostri “campi magnetici”.
Vale la pena notare che molti di questi siti web usano termini come “energia”, “onde”, “risonanza”, “campi energetici”, tutta una terminologia che ha un significato nel proprio ambito di applicazioni ma che, fuori da questo contesto, è usata solo per impressionare il lettore non specialista. In realtà nessuno ha definito che cosa si intenda per campi energetici umani né ha mai dimostrato che questi esistano davvero e, soprattutto, nessuno ha dimostrato che possano essere manipolati per migliorare la salute.
Ci si può chiedere perché persone dotate di media intelligenza tendano a dare credito a tutto questo; la passione per gli slogan e la scarsa dimestichezza con il metodo scientifico e le sue procedure possono dare in parte la risposta.

Perché i medici usano trattamenti che non funzionano

Una delle cose più sorprendenti nella storia della medicina è notare che per decenni si è continuato a praticare una terapia pur sapendo che questa era inefficace, inutile o addirittura dannosa.
Per secoli lo scorbuto, dovuto a carenza di frutta fresca nella dieta dei marinai, è stato responsabile di più decessi in mare di tutte le altre cause messe insieme (naufragi, attacchi di pirati, battaglie navali). Alla fine della guerra dei sette anni (1763), 1500 marinai inglesi erano caduti in battaglia e 100.000 erano stati uccisi
dallo scorbuto !
Nel 1747 James Lind, chirurgo navale inglese, scelse 12 marinai affetti da scorbuto per il primo trial (esperimento clinico) della storia moderna. A tutti somministrò la stessa dieta (pappa d’avena e brodo di
montone) cui aggiunse, divisi in coppie, vari supplementi:1/4 di sidro, aceto, elisir di vetriolo (acido solforico) diluito, acqua di mare e, ai due più fortunati, due arance e un limone ciascuno. I risultati furono immediati: dopo una settimana, solo gli ultimi due furono in grado di riprendere servizio. Sarebbero tuttavia trascorsi altri 40 anni prima che la marina inglese cominciasse la distribuzione obbligatoria ai marinai di succo di limone.
Tre secoli prima il chirurgo francese Ambroise Parè cominciò a trattare le ferite da arma da fuoco senza causticarle con olio bollente solo perché aveva finito l’olio (scoprì che se la ferita veniva lavata e medicata con un unguento lenitivo il paziente soffriva molto meno e guariva prima (quando guariva).
La pratica del salasso fu abbandonata non senza le resistenze di molti medici. Anche l’introduzione in chirurgia delle prime forme di asepsi da parte di Joseph Lister, nonostante la drastica riduzione del numero
dei morti per cancrena, non trovò molte adesioni. La maggior parte dei chirurghi si opponeva all’antisepsi e rifiutava la teoria dei germi come causa di malattia. Tra questi figurava l’americano Samuel Gross di
Filadelfia, autore di un famoso testo di chirurgia, che si rifiutò di adottarla. Ancora nel 1875 venne immortalato da Thomas Eakins nel quadro The Gross Clinic (fig. 3) in cui veniva ritratto nell’ atto di operare senza alcuna misura di antisepsi (erano passati nove anni dalla prima descrizione della scoperta di Lister).

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Fig. 3

In anni più recenti è stata trattata la schizofrenia con l’ insulina e l’infarto del miocardio con la vitamina K.
Si può pensare che, come in tutte le attività umane, un elemento importante possa essere l’ abitudine a eseguire procedure consolidate negli anni e la resistenza alle nuove idee. Lind credeva alle basi umorali delle malattie e forse non comprese l’importanza delle sue osservazioni. Gross e gli altri chirurghi della sua generazione sapevano dell’ esistenza dei batteri ma non credevano che fossero la causa delle malattie (pensare poi che fossero loro stessi, operando a mani nude e con strumenti non sterilizzati, a causare la morte
dei pazienti era perfino offensivo !). A voler essere pessimisti si può dar ragione al fisico Max Planck che al proposito osservava: “Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono quanto perché alla fine muoiono e nasce una nuova generazione a cui i nuovi concetti sono familiari”. Basti pensare alla ripulsione che Einstein mostrava verso la meccanica quantistica perché- diceva- Dio non gioca a dadi (e inventò al proposito la “costante cosmogonica”, salvo poi considerarlo il più grande errore della sua vita di
scienziato).
In alcuni casi l’ errore è consistito nell’ utilizzare un parametro errato per valutare l’efficacia di un trattamento: per esempio, la salivazione nel caso del sifilitico, che non è un sintomo di efficacia della terapia ma di avvelenamento da mercurio.
Un errore molto comune è poi scambiare una correlazione con una relazione causa-effetto: sto male, ho preso un prodotto omeopatico e sto meglio; ne concludo che il prodotto è efficace.
Ma due eventi in successione non sono necessariamente collegati (già Aristotele ammoniva: “post hoc, not propter hoc”, dopo di ciò, non a causa di ciò). Altrimenti dovremmo concludere che il letto è il posto più pericoloso del mondo dato che la maggior parte delle persone muore a letto; oppure che l’olio d’oliva, usato per l’estrema unzione, è il veleno più letale perché, dopo aver toccato in minima quantità la fronte di un uomo, questi dopo poco muore.

Robert Henderson ha individuato una divertente correlazione fra aumento della temperatura globale e calo del numero di pirati. Se la correlazione è sinonimo di causa-effetto allora la diminuzione dei pirati sta provocando il riscaldamento globale; ha quindi suggerito che i politici incoraggino i pirati a riprendere la loro attività per contrastare l’incremento della temperatura. Allo stesso modo potremmo correlare il calo delle nascite nei Paesi occidentali con la graduale scomparsa delle cicogne, ridando lustro alla poetica immagine del bambino portato dalla cicogna che ci hanno insegnato da bambini.
In conclusione, in medicina (ma non solo in medicina) una correlazione può suggerire un nesso di causalità ma che esista realmente una relazione causa-effetto va dimostrato con un trial clinico secondo le modalità di cui in seguito parleremo.
Infine, occorre ricordare che la medicina, come attività umana, comprende anche una certa dose di rituali, aspettative del paziente, pregiudizi del medico e perfino il desiderio di fare qualcosa; molti colleghi ricordano il protagonista della commedia di Jules Romains “Il dr Knock o il trionfo della medicina”, per il quale “la salute è uno stato che non promette niente di buono” ed al paziente bisogna sempre e comunque prescrivere qualcosa.
Per evitare (limitare) gli errori e per spendere in modo oculato le risorse pubbliche, è necessario fondare una medicina basata esclusivamente sulla valutazione critica dei fatti.

Le basi della pratica clinica

La consultazione periodica della letteratura medica è lo strumento più efficace per migliore la qualità della
pratica medica e dura per tutta la vita professionale del medico. Come osservava il grande clinico americano William Osler (1849-1919): “La cosa più difficile da far capire ad un giovane studente è che ciò che ha iniziato è uno studio che dura tutta la vita, per il quale i pochi anni trascorsi nelle aule universitarie costituiscono solo l’inizio“.
L’ osservazione di Osler sarà ribadita da S. Burwell, Preside della Harvard Medical School, che nel 1956 avvertiva i suoi studenti: “Metà di ciò che vi verrà insegnato mentre siete studenti di medicina, nel giro di 10 anni si dimostrerà falso. Il guaio è che nessuno dei vostri insegnanti può dire quale sia tale metà”.
Dai tempi di Osler e di Burwell, il problema della medicina moderna non è la scarsità ma l’eccesso di informazione senza adeguato filtro (e l’eccesso di informazione distrae, producendo una minore attenzione).
Ogni anno circa 20.000 riviste scientifiche pubblicano oltre 6 milioni di articoli con un ritmo di espansione annuo del 6-7%. Volendo dar retta a quanto suggerito da Oscar London nel suo libro “Ammazzate meno
pazienti che potete” (5), ogni medico dovrebbe leggere, allo scopo di essere aggiornato, poco meno di 1500 articoli al giorno (se ci limitiamo al data base MEDLINE).
Si aggiunga la disseminazione dell’ informazione (gli articoli che riguardano un determinato problema sono pubblicati in riviste ed in annate diverse), la difficoltà a reperire le informazioni clinicamente utili (molti studi non riguardano la medicina pratica) e infine (e soprattutto) la qualità dell’ informazione.
I bassi costi di stampa e l’imperativo “to publish or to perish” fanno sì che una corretta metodologia è limitata solo a pochi studi, per cui buona parte della produzione scientifica, anche su riviste autorevoli, è inadeguata per le decisioni clinico-assistenziali .
Purtroppo la formazione di base di molti medici non fornisce, in maniera strutturata, specifiche competenze per la ricerca e la valutazione critica della letteratura biomedica. Come intitolò nel 2005 su PLOS l’epidemiologo Paul Ioannidis- ”Perché i risultati di molte ricerche pubblicate sono falsi”- spiegando che ciò accadeva perché i medici non erano in grado di cogliere gli errori metodologici (o bias) contenuti negli studi.
Pertanto, è impresa ardua e spesso scoraggiante per il professionista ricavare indicazioni di comportamento pratico dalla letteratura biomedica. La EBM può essere la risposta al problema.

Che cosa è la Medicina basata sulle prove (Evidence-based Medicine, EBM)

La EBM è lo sforzo collettivo della comunità medica per rifondare la pratica della Medicina su principi
scientifici. Secondo David Sackett, considerato il padre del metodo, essa risulta dalla integrazione tra l’esperienza del medico e l’ utilizzo delle migliori evidenze scientifiche disponibili mediate dalle preferenze del paziente (6).
Il suo aspetto qualificante è l’ enfasi posta sulla “evidence”, cioè la valutazione critica di tutte le informazioni disponibili utilizzando criteri espliciti e riproducibili.
Questo vuol dire che la qualità di uno studio, e quindi il livello della prova di efficacia che fornisce, dipende dalla sua capacità di minimizzare le possibili distorsioni (bias) e di giungere a conclusioni generalizzabili.
Nel sistema adottato dalla AHCPR (Agency for Healthcare Research and Quality) sono descritti 4 livelli di evidenza: al livello superiore (livelli 1A e 1B), cioè quello con una probabilità molto bassa di errore, vengono assegnati gli studi clinici controllati randomizzati (RCTs) e le revisioni sistematiche di RCTs.
Uno studio controllato randomizzato (RCT) permette di valutare l’ efficacia di uno specifico trattamento in una popolazione di pazienti. Nello studio i pazienti sono assegnati in modo casuale per ricevere il farmaco oggetto di studio o un placebo (gruppo di controllo). La revisione sistematica è invece la valutazione statistica di tutti i trial clinici riguardanti uno specifico trattamento.
Gli studi vengono assegnati ai livelli inferiori (livelli 2 e 3) al crescere delle probabilità di errore. E’ interessante sottolineare che ai rapporti di commissioni di esperti oppure alle opinioni ed esperienze cliniche autorevoli è attribuito il livello di evidenza più basso (livello 4), perché l’unico criterio attendibile per
stabilire la validità di un’affermazione è la sua corrispondenza ai fatti non l’autorità di chi afferma (abbiamo visto che neanche il Nobel mette al riparo da stupidaggini).
Sulla base dei livelli si stila la classe di raccomandazione di un determinato trattamento:

Classe I : ci sono prove scientifiche e/o un generale consenso sull’utilità ed efficacia di una procedura o di
un trattamento

Classe IIa : le prove scientifiche e le opinioni degli esperti divergono ma prevalgono quelle a favore
dell’utilità ed efficacia

Classe IIb : in base alle prove scientifiche l’utilità e l’efficacia sono meno sicure

Classe III : ci sono prove e/o un generale consenso che la procedura o il trattamento non sono utili o efficaci e in alcuni casi potrebbero essere dannosi

Che cosa è e come si realizza un trial clinico controllato randomizzato

E’ uno studio clinico/farmacologico sull’ uomo per verificare sicurezza, attività ed efficacia di un trattamento. Si compone di quattro fasi:

a. Fase preclinica (sperimentazione animale o su colture cellulari)

b. Fase I : ricerca della massima dose tollerata (pochi volontari sani, in genere pagati)

c. Fase II: dimostrazione preliminare di efficacia (sono arruolati solo pochi malati su base volontaria)

d. Fase III: misura su larga scala dell’ efficacia del farmaco. A tale scopo viene arruolato un campione ampio ed omogeneo di pazienti; il nuovo farmaco viene testato vs un placebo o altro farmaco di riconosciuta efficacia (se non è possibile lasciare il paziente senza terapia).

Per evitare condizionamenti sia da parte del medico che del paziente, lo studio clinico viene eseguito in doppio cieco: ciò vuol dire che né il paziente né lo sperimentatore sanno quale sostanza stanno assumendo.
Al termine del periodo di osservazione clinica, i dati sono raccolti, elaborati statisticamente e presentati in forma manoscritta. E’ un momento cruciale della ricerca per due ragioni: i dati grezzi non sono ancora una ipotesi scientifica strutturata così come un mucchio di mattoni non è ancora una casa, diceva Poincarè;
inoltre rendere pubblicamente disponibili i risultati delle proprie ricerche è l’unico modo di confrontarsi con la comunità scientifica.
Il manoscritto verrà quindi inviato ad una rivista con peer review (“revisione tra pari”): il testo verrà letto, analizzato e criticato in forma anonima da altri colleghi che ne proporranno o meno la pubblicazione.
Qui comincia la “vita” di un lavoro scientifico, i cui risultati, sottoposti alla comunità scientifica, dovranno essere riproducibili da altri ricercatori; un singolo risultato spettacolare, sia pure ottenuto con metodologia corretta, deve far sospendere il giudizio se non è confermato da lavori successivi.
Ricordate la fusione nucleare fredda di Pons e Fleischmann ? Diversi laboratori ripeterono i loro stessi esperimenti senza ottenere conferme del fenomeno (assenza di riproducibilità) alimentando il sospetto di
frode scientifica. Ad oggi quasi nessuno parla di fusione fredda e l’opinione prevalente è che tutte le evidenze sperimentali proposte siano effetto di errori di misurazione.
In ambito biomedico è istruttivo ricordare la vicenda della cosiddetta “memoria dell’ acqua”, che ha visto come protagonista un illustre biochimico, Jacques Benveniste, direttore dell’INSERM, una delle maggiori istituzioni scientifiche francesi. Nel Giugno 1988 la rivista scientifica Nature, una delle più prestigiose al mondo, pubblica un suo articolo sulla “Degranulazione dei basofili umani indotta da una soluzione altamente diluita dell’anticorpo anti-IgE”. Vi si afferma che un effetto molecolare (la degranulazione dei basofili) è stato conseguito grazie a una soluzione acquosa così diluita da non contenere neppure una sola delle molecole (gli anticorpi) che normalmente lo producono. E’ come dire che un uomo caduto in mare è stato divorato non da uno squalo, ma dall’acqua che una volta ha ospitato un pescecane e che ha conservato memoria della sua voracità. E’ un risultato incredibile e infatti l’articolo, che ha superato la barriera della
peer review, è accompagnato da una nota del direttore della rivista John Maddox che, pur pubblicandolo, non si dice convinto del risultatplo. La notizia della scoperta di Benveniste piacque molto agli omeopati che finalmente avevano trovato la conferma sperimentale delle loro terapie (l’obiezione che alle diluizioni omeopatiche i loro preparati contenessero solo acqua non valeva più). Ricordo che una condizione del metodo scientifico è la ripetibilità e riproducibilità dei risultati: Maddox, accompagnato da un exprestigiatore,
James Randi, e da un esperto in frodi scientifiche, Walter Stewart, decise di assistere alla replica dell’esperimento fatta dallo stesso Benveniste nel suo laboratorio ma con controlli esterni. Nel luglio
1988 Nature pubblica un resoconto dell’ ispezione con il titolo “Alta diluizione, un’illusione”: Benveniste non è riuscito a ripetere l’esperimento e Stewart e Randi hanno trovato svariate irregolarità nelle procedure di laboratorio. Inoltre si scopre che la ricerca è stata finanziata con i soldi di un’azienda di prodotti omeopatici.
Benveniste tentò altre volte di replicare il suo esperimento ma senza successo e, benché fosse un biochimico con un solido curriculum professionale, non lo sfiorò il dubbio che nemmeno lui poteva rivoltare
la fisica, la chimica e la biologia senza l’onere di una dimostrazione certa e inequivocabile.
Nella triste vicenda di Benveniste, che è morto nel 2004, c’è il condensato del procedere scientifico: contano solo i fatti, liberamente ripetibili e riproducibili, mentre non ha alcun peso l’autorità di chi sostiene una ipotesi che non sia verificabile. Si può prendere un abbaglio involontario o anche organizzare una frode vera e propria e, se questa viene presentata in modo metodologicamente impeccabile, si può guadagnare popolarità per un po’ di tempo ma poi la comunità scientifica provvederà a smascherare le fake news se i risultati di una ricerca non sono confermati (ricordando sempre che affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie).
La ricerca scientifica ha infatti la natura di un’impresa collettiva in cui non esistono autorità indiscusse. I fatti rappresentano l’unica autorità e i fatti non sono democratici (le verità scientifiche non si decidono a maggioranza, diceva Galileo) nè elitari ( un impiegato di 26 anni dell’ ufficio brevetti di Berna, Albert Einstein, può aver ragione e tutti gli accademici aver torto, a condizione che lo dimostri).
Connesso al rifiuto di ogni autorità è la libera circolazione delle idee. Nel pensiero magico-religioso il sapere era esoterico, riservato a pochi iniziati; quello della scienza è un sapere pubblico, di libero accesso e, soprattutto, controllabile e verificabile. Come scrive Guido Tonelli (7):”Criticare tutto, dubitare sempre, cercare i punti deboli, valutare le ipotesi alternative fa parte della deontologia professionale degli scienziati”

Fonti della EBM

* Banche dati biomediche

MEDLINE è il database bibliografico più conosciuto. E’ prodotto dalla National Library of Science che dal
1966 cataloga le citazioni ottenute da circa 4000 riviste (ad oggi contiene più di 15 milioni di riferimenti
bibliografici). Dal 1997 il governo americano ha reso disponibile gratuitamente l’ accesso al database tramite
interfaccia PubMed (www.pubmed.gov)

* Pubblicazioni secondarie

Riviste che operano la sintesi, secondo criteri EBM, di una rilevante quantità di letteratura. Tra le più
importanti:

1. ACP Journal Club, supplemento bimestrale degli Annals of Internal Medicine. Gli articoli recensiti
vengono presentati come abstract insieme ad un commento critico

2. Evidence Based Medicine: è una pubblicazione dell’ editore del British Medical Journal. E’ simile alla
prima nella impostazione

3. Best Evidence (CD-ROM): database di abstract che combina le prime due riviste

4. Bandolier: prodotto a cura del Servizio Sanitario inglese, a libero accesso via Internet

* Revisioni sistematiche (RS) e meta-analisi

La fonte più importante di RS è la Cochrane Library, creata con lo scopo di fornire le prove di efficacia a
supporto delle decisioni sanitarie. Ha iniziato la sua attività nel 1995 e viene aggiornata trimestralmente. La
Cochrane Library raccoglie il lavoro della Cochrane Collaboration, una organizzazione indipendente, internazionale e no-profit, che vanta numerosi centri in tutto il mondo, compresa l’ Italia (www.cochrane.it).
La Cochrane Collaboration produce RS che riguardano farmaci, diagnosi e screening. Gli abstract della Cohrane Library sono consultabili gratuitamente on line (per gli articoli in versione integrale è necessario abbonarsi).

* Linee-guida

Prodotte da Società scientifiche o da agenzie governative che mettono a disposizione le loro banche dati. Le
linee guida dovrebbero rappresentare la summa delle prove scientifiche, integrate con le competenze degli
esperti: una sintesi ragionata delle conoscenze disponibili. Nonostante alcuni limiti (tempestività della loro
pubblicazione, indipendenza degli esperti chiamati a stilarle, diversa interpretazione delle stesse fonti bibliografiche, scarsa efficacia pratica nella gestione del paziente con patologie plurime), le linee-guida sono il prodotto più utilizzato della EBM.

Utilità della EBM

a. Permette di scegliere la migliore opzione diagnostico-terapeutica in base alle prove di efficacia disponibili

b. Contribuisce a razionalizzare (ridurre) i costi dell’assistenza con un impiego più adeguato delle risorse disponibili

c. Contribuisce ad abbattere il contenzioso medico-legale. Dal punto di vista medico-legale, il medico che nel suo operare si è conformato alle linee guida ministeriali o a quelle della propria società scientifica ha una linea di difesa molto più solida.

Che cosa non è la EBM

§. La EBM non è un “libro di ricette” di medicina. L’esperienza clinica del medico e le preferenze del paziente sono gli elementi cruciali che la distinguono da un libro di cucina e dalla semplice applicazione
delle linee guida.

§. La EBM non è un modo di ridurre i costi dell’assistenza ma di razionalizzare la spesa individuando i trattamenti più efficaci al costo minore.

§. Infine, la EBM non si riduce solo ai RCT e alle metanalisi, come sembra pensare qualche entusiasta della procedura. Come riportava un editoriale del BMJ nel 2003: “Solo un 15% delle procedure mediche e meno del 5% di quelle chirurgiche sono supportate da una solida
evidenza scientifica”.

Questo non vuol dite che l’ 80-90% delle procedure siano assimilabili ad un esercizio di ciarlataneria, senza alcuna “evidence”. Il problema è che i trial sono procedure lunghe, complesse e costose. Lind era un militare e poteva osservare i suoi marinai nello spazio ristretto di una nave; per stabilire una relazione tra l’uso di statine e infarto del miocardio sono stati necessari 10 anni di studio e per lo screening europeo del cancro della prostata otto anni. Il medico nel suo ambulatorio deve prendere decisioni in tempi brevi utilizzando le
informazioni di cui dispone, anche se il loro livello di “evidence” è medio-basso; inoltre non in tutti i casi è necessario eseguire uno studio randomizzato in doppio cieco: per esempio, nessuno studio ha mai dimostrato l’ utilità di un paracadute se vi lanciate da un aereo ma, nonostante la mancanza della evidenza scientifica, è consigliabile averlo sulle spalle se vi trovate in questa condizione.

Alternative alla EBM

Abbiamo detto che le decisioni cliniche devono essere basate sulla evidenza della loro efficacia. E quando l’evidenza non è disponibile o volessimo farne a meno?
Isaacs e Fitzgerald lo hanno riunito le risposte in 7 categorie (8):

1. Eminence-based medicine. Alcuni Colleghi più anziani considerano del tutto irrilevante “l’evidenza” e nutrono una fiducia estrema nella loro esperienza clinica, che qualcuno definisce come “fare gli stessi errori con crescente sicurezza per un gran numero di anni”

2. Vehemence-based medicine. Sostituire la forza dell’ evidenza con un tono elevato della voce è una buona tecnica per sovrastare i Colleghi più timorosi e per convincere i familiari della propria abilità

3. Eloquence-based medicine. Affascinante aspetto fisico, abito elegante e lingua sciolta possono essere efficaci sostituti dell’ evidenza

4. Providence-based medicine. Quando un medico non sa come andare avanti, la migliore decisione è di affidarsi all’ Onnipotente (anche se poi sono troppo pochi quelli che nel prendere le decisioni
danno una mano a Dio)

5. Diffidence-based medicine. Quando al medico manca la sicurezza, sopravviene la sfiducia e si finisce per non decidere. Talora questo può essere meglio del fare qualcosa solo per non essere feriti
nel proprio orgoglio di non fare nulla

6. Nervousness-based medicine. La paura di un contenzioso legale rappresenta un potente incentivo verso iter diagnostici e terapeutici lunghi, costosi e spesso inutili. In queste condizioni il solo test
“cattivo” è quello che non hai pensato di chiedere

7. Confidence-based medicine. La medicina basata sulla fiducia in sé stessi è considerata una esclusiva dei chirurghi

Conclusioni

Con Galileo Galilei (1564-1642) ed Isaac Newton (1642-1726) nasce la scienza moderna, che rivoluzionerà il mondo nei secoli successivi (curiosamente il secondo nasce lo stesso anno in cui muore il primo: un
passaggio di testimone).
La nuova scienza rifiuta di sottomettersi ad alcuna autorità che non sia passata al vaglio della critica e della sperimentazione (“le sensate esperienze” di Galileo). Come suggerisce il motto della Royal Society, la prima associazione scientifica fondata a Londra nel 1660: “Nullius in verba” (Fig. 4), i soci del nuovo sodalizio si
impegnano a “non fare affidamento sulle parole di nessuno”: nessuna affermazione che non superi il vaglio
della ragione sperimentale – della sperimentazione razionale, che procede in modo controllabile e ordinato –
può trovare posto o considerazione in questo progetto (9).
Qualsiasi teoria fisica è sempre provvisoria, nel senso che è solo un’ipotesi: una teoria fisica non può cioè mai venire provata. Per quante volte i risultati di esperimenti siano stati in accordo con una teoria, non si può mai essere sicuri di non ottenere la prossima volta un risultato che la contraddica (10). Tutto il nostro sapere
scientifico è e resta ipotetico, congetturale.
Non solo: una teoria che non può venire confutata da nessun evento concepibile non è scientifica.
L’inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si ritiene) una virtù, bensì un vizio (11).

Fig_04
Fig. 4

Nella pratica medica la base delle decisioni era sempre stata la tradizione mescolata ad assurde congetture magico-religiose, con un ruolo privilegiato attribuito alla autorità. Liberarsi di questa pesante bardatura è stato un lavoro lungo e gravoso, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, per le resistenze opposte dai
medici legati alle pratiche del passato.
Lentamente si è elaborata una metodologia di studio tendente ad eliminare ogni elemento soggettivo di valutazione: la scienza è contro le opinioni e chiede con insistenza la verifica di quanto osservato.
Tra le varie forme di sperimentazione clinica, il RCT è quella che offre la minore possibilità di errore. In pratica, io non posso dire che ho visto l’unicorno: devo non solo dimostrarlo ma affidare i miei dati ad una comunità di esaminatori che li devono analizzare e poi, attraverso l’esperimento, riprodurre il mio unicorno (12).
I lavori scientifici non hanno niente a che vedere con il consenso. Il consenso è mestiere della politica. La scienza ha bisogno solo di un investigatore al quale capiti di aver ragione, il che significa che deve produrre risultati che siano verificabili (nel suo laboratorio) e riproducibili (da altri ricercatori). Nella scienza il consenso è irrilevante. Ciò che è rilevante sono i risultati riproducibili. I più grandi scienziati della storia sono grandi proprio perché hanno rotto il consenso.
L’ autorità lascia il suo piedistallo: “un Clinico, non importa quanto sia venerabile, deve accettare il fatto che l’ esperienza, benché profonda, non può servire da indice affidabile di validità scientifica […] Abbiamo fede in Dio. Tutti gli altri devono portarci dei dati”, dichiarò il dr. Bernard Fisher in un’ intervista al Pitt Medical Magazine nel Luglio 2002.
Questo distingue la scienza moderna dalla magia. “La scienza moderna, in opposizione alla magia, nasce come un sapere pubblico, controllabile, riproducibile e verificabile. Un sapere universale e fondato sul principio dell’uguaglianza delle intelligenze. Ogni individuo può accedere alla conoscenza scientifica, fatto
impossibile nel mondo della magia, dove il sapere, riservato a pochi eletti, è a disposizione di un ristretto numero di persone (sciamani, stregoni, sacerdoti) ed espresso con linguaggi non chiari e accessibili a tutti”
(13).
Concludo con le parole del grande clinico medico Augusto Murri (1841-1932), il quale ammoniva i suoi studenti:
“Nella Clinica bisogna avere un preconcetto solo, ma inalienabile, il preconcetto che tutto ciò che si afferma e che par vero può essere falso: bisogna farsi una regola costante di criticare tutto e tutti prima di credere”.

Bibliografia selezionata

1. D. Wootton: Bad Medicine: Doctors doing harm since Hippocrates, Oxford Univ. Press, 2007
2. J. De Maleisseye: Histoire du Poison, Ed. Bourin, Parigi, 1991
3. S. Nuland, Storia della medicina, Mondadori editore, 2017
4. S. Fuso: Strafalcioni da Nobel, Carocci editore, 2018
5. O. London: Kill as few patients as possible, Ten Speed Press, 1997
6. D. L. Sackett et al: EBM: what is and what it isn’t, BMJ, 312:71, 1996
1
7. G. Tonelli: Genesi. Il grande racconto delle origini, Feltrinelli editore, 2019
8. D. Isaacs , D. Fitzgerald.: Seven alternatives to evidence-based medicine, BMJ, 319:1618, 1999
9. E. Campelli: Il riccio e la volpe, Codice editore, 2016
10. S.Hawking: Dal big bang ai buchi neri, BUR, 2015
11. K. Popper: Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Il Mulino editore, 2009
12. A. Pascale: Questo è il paese che non amo, Minimum Fax, 2010
13. M. Ciardi: Galileo & Harry Potter, Carocci editore, 2014

Categoria: Conferenze accademia Rivista n°8 01/2020 | RSS 2.0

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