Mario Bruselli, “LE DONNE DURANTE IL PERIODO FASCISTA”


Mario Bruselli

LE DONNE DURANTE IL PERIODO FASCISTA

Per tutte le violenze consumate su di Lei,
per tutte le umiliazioni che ha subito,
per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,
per la libertà che le avete negato,
per la bocca che le avete tappato,
per le ali che le avete tagliato,
per tutto questo:
in piedi, Signori, davanti ad una Donna.

(William Shakespeare)

Sul fascismo sono ormai innumerevoli le pubblicazioni degli storiografi italiani (senza considerare quelle straniere); è stato un periodo complesso, che ancor oggi suscita interesse e discussioni. In modo particolare mi sono sempre chiesto come sia stato possibile creare un così vasto consenso tra la popolazione italiana del tempo e quali siano stati i meccanismi utilizzati dal fascismo per raggiungere un così elevato “indice di gradimento”.
Per questo motivo, “navigando il rete”, abbiamo incrociato per caso la tesi di laurea di Francesca Delle Vedove, (Università Ca’ Foscari di Venezia – Facoltà di Lettere e Filosofia) sul tema: La donna nel fascismo tra segregazione e mobilitazione (anno accademico 2000-2001), da cui abbiamo tratto materiale per elaborare il presente articolo.

L’autrice sostiene che le donne hanno giocato un ruolo non certo marginale e secondario nel panorama sociale del tempo sia a favore sia contro l’affermarsi del regime e, in effetti, la considerazione che il regime dimostrò nei confronti del mondo femminile fu abbastanza ampia e articolata sia a livello ideologico, nel proporre un modello femminile dominante, sia a livello pratico nella riorganizzazione della vita delle donne. Un esempio pratico ci viene fornito dalla vignetta inserita qui a lato.
Senza dubbio, nell’occidente europeo, la donna è stata esclusa dalla partecipazione alla vita politica e sociale, perché relegata alla dimensione del privato (perfetta moglie e inappuntabile madre). Ciò è vero anche per la donna durante il ventennio fascista, ma con dei risvolti particolari che ci sembra opportuno prendere in considerazione, tenendo conto che il regime ha spesso chiamato le donne alla partecipazione attiva nel perseguire i propri obiettivi generali.

Nel periodo pre-fascista, la questione femminile aveva sollevato grande interesse nelle file del movimento socialista italiano il quale, nonostante presentasse delle posizioni diverse al suo interno fra i più rivoluzionari e i riformisti, si occupava dell’emancipazione della donna. La questione del lavoro femminile, della parità dei salari e del diritto di suffragio universale erano punti centrali all’interno del programma politico del socialismo internazionale che, però, scorgeva, nel femminismo non legato al movimento operaio, una forza disgregante a discapito della società borghese.
Il movimento liberale non riservò al femminismo la stessa attenzione. Anzi, alla luce della difficile situazione politico-economica dell’Italia dopo la Grande Guerra, la questione del lavoro femminile venne rapidamente liquidata, auspicando un ritorno a casa delle donne lavoratrici, affinché lasciassero il posto agli uomini di ritorno dal fronte.
Ma, come ha rilevato Franca Pieroni Bortolotti, che a lungo si è occupata del femminismo italiano, il prezzo pagato dai governi democratici per la mancata attenzione verso le problematiche femminili, è stato alto.

La storica afferma:
… “Infatti, di lì a poco, in Italia sarebbe stato il fascismo, la controrivoluzione, a utilizzare il femminismo per disgregare la democrazia italiana: prima, conquistando dall’interno attraverso i gruppi nazionalisti le società femminili; poi, passando al loro scioglimento, quando esse rifiutavano il protettorato fascista”.
Potremmo, dunque, considerare un “merito” del fascismo l’aver costruito, a suo modo, un saldo rapporto fra donna e politica, donna e nazione, donna e patria, ed aver elaborato per lei un progetto politico che ridefinisse i suoi spazi privati e pubblici, allo scopo di creare una coscienza politica che desse il proprio consenso al costituirsi del regime.

E proprio il Duce, con la sua politica mirata al femminile, può essere considerato lo stratega del legame donna-fascismo. Il suo progetto politico mirò alla formazione di una “nuova italiana”, la donna fascista, attraverso un cambiamento coatto della sua dimensione quotidiana, che coinvolse sia gli aspetti più intimi e personali, quali la gestione del corpo e della sessualità, sia la sua formazione e l’inserimento sociale. In effetti Mussolini riuscì a conquistare le masse femminili per un lungo periodo, promettendo loro una nuova e più dignitosa collocazione nella società fascista.
A differenza dei precedenti governi liberali o liberaldemocratici, la dittatura fascista comprese bene l’importanza politico-sociale delle donne, il valore del loro consenso e del loro appoggio per poter realizzare il sogno fascista.
L’analisi storica del rapporto donna-fascismo, tuttavia, non è così semplice, poiché non si presenta né lineare né priva di contraddizioni, ma si trasforma secondo le esigenze politiche e gli obiettivi contingenti da raggiungere. Gli stessi modelli femminili imposti dal regime sono complessi e articolati, così come lo è la risposta delle donne e il loro consenso.
In un primo momento si chiese alla donna italiana di essere una madre prolifera, una sposa consenziente e un’attenta domestica (il cosiddetto “angelo del focolare”), ruoli da sempre considerati come prerogative naturali della donna. Successivamente il regime la chiamò alla partecipazione attiva, alle adunate e alle marce, le chiese di lavorare per la costruzione della Grande Nazione.

Significativa a tal proposito la copertina dell’Almanacco della cucina, riprodotto nell’immagine accanto e supplemento annuale della “Rivista delle famiglie”, mensile illustrato.

Negli anni Trenta il governo fascista costituì i Fasci Femminili , il dopolavoro e le organizzazioni sportive, dove le donne, sotto lo stretto controllo della gerarchia maschile, svolsero funzioni assistenziali e svilupparono una coscienza di razza che servì, a distanza di pochi anni, da substrato ideologico per la politica coloniale.
Il fascismo femminile rivela delle caratteristiche molto simili al fascismo maschile: anch’esso fu un fenomeno principalmente urbano e interessò in prevalenza la media e la piccola borghesia. Aderirono subito al fascismo le donne giovani e quelle delle città, perché si sentivano più vicine all’ondata di emancipazione che proveniva da tutta Europa. Esse videro nel progetto fascista una risposta concreta alle delusioni provocate dal socialismo riformista e dal liberalismo di inizio secolo. Provenienti da ceti sociali differenti, con idee ed esperienze politiche diverse, queste donne non dimostrarono necessariamente un’approvazione integrale nei confronti del fascismo come movimento politico, ma furono importanti per il regime perché ne sfruttò l’intelligenza, la passione e la creatività per diffondere nuovi messaggi e nuove promesse, poi regolarmente disattesi.
Ad esempio negli anni 1919-20 si fece garante delle richieste avanzate dalle donne, assumendo delle posizioni “rivoluzionarie”, che però ebbero breve durata; appena un anno dopo, il fascismo manifestava la sua natura, parallelamente alla trasformazione del movimento in partito e successivamente in regime. Quindi la questione del diritto al voto delle donne, sbandierata qualche anno prima, ne è un esempio lampante: ben presto il fascismo assume chiare posizioni antifemminili, ma si trova di fronte alla necessità di ottenere una sicura adesione e una larga fiducia da parte delle donne. Appare dunque chiaro che la problematica del consenso femminile sotto la dittatura fascista ebbe vari risvolti, pertanto la nostra attenzione si concentrerà su alcuni aspetti che abbiamo ritenuto più significativi, focalizzando la nostra attenzione soprattutto sui cambiamenti da una parte richiesti, dall’altra imposti alla donna sia a livello privato sia pubblico.
In appendice abbiamo infine inserito un breve excursus sulla figura femminile disegnata da Gino Boccasile sulla rivista Le Grandi firme, come testimonianza di una parte dell’immagine femminile vista dal regime.

L’Almanacco può essere consultato in rete “clickando” sul link http://www.academiabarilla.it/adv/libro/almanacco-della-cucina-1934-amico-della/1.aspx

Inizialmente restìo a dare un ruolo alle organizzazioni femminili di partito (esistenti già dal 1921), il fascismo, dal 1930 in poi, si era sempre più convinto della necessità di incrementare l’arruolamento delle donne nelle proprie strutture.
Proprio a luglio del 1930 il partito fascista iniziò a finanziare la pubblicazione bimestrale del Giornale della Donna di Paola Benedettini Alferazzi come organo ufficiale dei Fasci Femminili.
Questi ultimi, tuttavia, non ebbero mai grande peso nel PNF, limitandosi a gestire iniziative tipicamente femminili come quelle assistenziali. Se pure i loro capi di elevata estrazione avevano qualche voce in capitolo – precisa Victoria De Grazia – era solo in virtù della propria distinzione sociale, o per il fatto di avere mariti altolocati.

Categoria: Rivista n° 7 01/2019 | RSS 2.0

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