Meattini V., “Benedetto Croce e la mentalità massonica”, L’Arco e la Corte, Bari, 2011.


caffe_ussero

INTERVISTA DI CARLO BOZZI A VALERIO MEATTINI

SU: “BENEDETTO CROCE E LA MENTALITA’ MASSONICA”

BOZZI – La prima domanda è breve e diretta, e anche le altre lo saranno: perché questo libro?

 

MEATTINI – Ho pensato a come potessi celebrare il 150° dell’Unità d’Italia facendo una di quelle cose che dovrei saper fare, comporre libri. Bene: c’era un tema della cultura italiana che nessuno – e dico nessuno a mio sapere – ha mai trattato, pur essendo bisognoso di trattazione: Croce e la Massoneria. Non sono molte le pagine che Croce ha dedicato alla Massoneria, ma bastano – o io ho creduto che bastassero – per comporre un ampio disegno.

 

B. – Il giudizio di Croce sulla Massoneria?

 

M. – Duro, molto duro davvero. Anche se lui dice di parlare piuttosto della “mentalità massonica” e non  della Massoneria (che dice “conosco poco”, ma che ovviamente non era vero dal punto di vista storico), tuttavia si capisce a chi parli e di che cosa parli.

 

B. – A chi parla e di che cosa parla, dunque?

 

M. – Cominciamo dal “di che cosa parla”. Quando parla della Massoneria e della mentalità massonica parla in verità del Settecento e di una mentalità antistorica. Per Croce la storia è svolgimento (così come del resto le vite umane) e crea nel proprio svolgersi epocale i propri valori e i propri traguardi, i quali, dunque, non sono fuori della storia, ma dentro la storia. Perciò Croce, in certe pagine, mette insieme in un unico giudizio di rifiuto: Settecento, Ebraismo e Massoneria. Il primo perché fondato – almeno nel suo culminamento – su astrazioni come Libertà Uguaglianza Fratellanza –, parole d’ordine roboanti quanto vuote perché l’universalismo francese era, da un lato, un’impossibilità storica e, dall’altro, un inganno perché mascherava conquista e dominio. Croce ha ben presente la lezione di Cuoco: i popoli e le culture non possono importare rivoluzioni. Le rivoluzioni devono nascere in loco, avere profonde radici. Per questo la rivoluzione napoletana del 1799 era fallita. Per Croce, su quei patiboli borbonici si era esaurita la generosa spinta della Massoneria, ammaliata dal morbo dell’astrattismo universalistico à la francese ed era terminata anche la missione dell’Illuminismo che aveva revocato il diritto divino del trono nella sua stretta alleanza con l’altare. A questo compito storico la Massoneria e l’Illuminismo avevano adempiuto. Poi altri ideali e altre forze la storia aveva prodotto. Insomma, e congiungendo Illuminismo e Massoneria: si tratta di due capitoli conclusi nel gran libro della Storia che di continuo si viene scrivendo.

B. – E l’Ebraismo che ‘entra?

 

M. – C’entra perché è “messianico”, perché aspetta dal fuori della storia la salvezza della storia che, per Croce, può essere soltanto nella storia.

 

B. – E a chi parla quel giudizio?

 

M. – Per Croce avrebbe dovuto parlare a quelle intelligenze consapevoli dei nuovi compiti storici che dopo l’Unità si ponevano alla classe dirigente italiana e agli uomini che avrebbero dovuto dare al paese una “soda cultura storica e politica”.

 

B. – Condividi il “duro giudizio” di Croce sulla massoneria o, per essere precisi, sulla “mentalità massonica”?.

 

M. – Bisogna distinguere. Croce, come abbiamo visto, pensa che la Massoneria abbia concluso la sua parabola storica a fine Settecento. S’intende è sopravvissuta, ma, appunto, si tratta di sopravvivenza. Ora, per affrontare la questione bisognerebbe discutere la concezione che Croce ha della storia e qui non lo possiamo fare. Per quanto riguarda la “mentalità massonica”, Croce intendeva qualcosa vicino alla faciloneria. La “mentalità massonica” è quella mentalità che non si trova soltanto tra i massoni portata a semplificare tutto: la scienza, la morale, la politica, la filosofia, sono per Croce ben ardui impegni per l’uomo che non possono avere soluzioni in brevi formule e i Rituali massonici invece sono pieni zeppi di formule che vanno bene, secondo Croce, per uomini e donne che non hanno veramente portato a compimento la loro umanità, ma non per uomini e donne che invece quella pienezza umana abbiano raggiunto.

 

B. – Condividi il giudizio di Croce?

 

M. – Mi verrebbe da dire che capisco quel che Croce vuol dire: quel pericolo di semplificazione può essere corso per chi pratica la Massoneria (però bisognerebbe chiederlo a loro), così come il continuo allegorismo può portare fuori strada. Però mi sembra che nei Rituali massonici e nella letteratura massonica si tratti di simbolismo e non di allegorismo e, credo, si debba davvero distinguere. Poi, Croce non aveva nessun intendimento di che cosa voglia dire vivere una vita da iniziati. O meglio, la sua filosofia e la sua concezione della storicità dell’uomo non prevedono nulla di simile, se non come camuffamento ridicolo di cose serie. Tu capisci che per affrontare davvero la questione dovrei chiederti il tempo di scrivere un altro libro. Comunque alla fine di Benedetto Croce e la mentalità massonica ho aggiunto alcune pagine di Fichte che, più di un secolo prima delle obiezioni e delle resistenze di Croce nei confronti della Massoneria, contenevano già le potenziali risposte.

 

B. – In sintesi, ma proprio in sintesi, non mi puoi dire qualcosa?

 

M. – In sintesi, ma proprio in sintesi: attraverso il simbolismo, questa lingua franca della Massoneria, si può uscire dal proprio piccolo io, dalle proprie specifiche competenze, dal linguaggio che esse richiedono, dall’ambito sempre più ossificato e ristretto della nostra vita, e guardare al mondo, a quel mondo in cui siamo ognuno come  un altro. Questo penso sia il pensiero più liberatorio della via iniziatica e, dunque, anche della Massoneria che tiene fede a se stessa.

autore: V. Meattini
casa editrice: L’Arco e la Corte, Bari
anno di pubblicazione: 2011
dati: 160 p.

Categoria: Rivista n° 1 01/2014 | RSS 2.0

Mappa sito - Privacy Policy - Credit - Termini d'uso - Cookie Policy

Rinnova o modifica la tua autorizzazione ai cookie