Scarselli S., “Bernardo di Chiaravalle, alcune storie fuori D’alveo”, ETS, Pisa, 2013.


Il libro, presentato il 16 ottobre 2013 nella sala di rappresentanza della società ETS alla presenza di un folto pubblico che superava le cento unità, è difficile e complesso ma offre numerosi spunti di riflessione da parte del lettore, per cui va letto con attenzione e concentrazione.
L’autore, con una lucida incisività, riporta Bernardo nel suo tempo, ma lo riporta con equilibrio, calandolo nella realtà in cui tanto ha operato. Se Santo, significa appartato dal mondo, Bernardo non lo era, anzi era l’espressione lucida della “clericalizzazione” degli ordini monastici, ma non solo, se nell’espressione popolare Santo è colui che ha un rapporto diretto con Dio, perché con le sue opere si è talmente avvicinato all’Assoluto, Scarselli ci fa vedere quanto Bernardo fosse lontano da ciò, sia il Bernardo politico, sia il cosiddetto Bernardo mistico e lo dimostra, capitolo dopo capitolo.

Parte dal capitolo terzo, illustrando “l’abituale coercitivo comportamento assunto da Bernardo contro gli avversari culturali dell’epoca i cui saperi non collimavano con le sue tesi” e ci fa notare come la “peculiarità “ di Bernardo non sia la compressione. Con citazione di stimati autori, documenta come l’abate sia poco suscettibile ai sentimenti umani e alla compassione, e mette in luce come spietatamente diventa il “nemico” di sapienti coevi, che portano avanti concetti che si differenziano, per ideologia e per cultura dalle sue tesi arrivando a presentare i suoi avversari come eretici, distorsori della sua verità, con una carica cosi aggressiva e violenta che lasciano fortemente perplesso e meravigliato il nostro autore.

Da rimarcare come Scarselli non illustra una sua opinione personale, ma rintraccia documenti storici.

L’autore ribadendo la sua ferma convinzione, che la miscelazione dei saperi conducono al miglioramento dello stato del vivere umano, non può non constatare quanto questa “Icona Santa “sia nel pratico vivere interpersonale lontano da ciò, perfettamente calato nella concettualità del suo tempo. Per Duby Bernardo “è un Ayatolla “, per Cardini “dittatore “, per Pacult “non è sempre piacevole essere suoi contemporanei “; Scarselli, da medico, aggiunge: “che possibile trovare in Bernardo di Chiaravalle la presenza di alcuni elementi che si avvicinano al disturbo di personalità “, ed arriva ad ipotizzare come questi disturbi siano determinati da un possibile patologia comportamentale provocata dalla presenza di microorganismi in un corpo con salute cagionevole, cosi come documenta la recentissima cultura medica.
Scarselli non sottovaluta l’impatto che questa figura ha nel periodo in cui vive, e ne riconosce l’importanza storica e nel parlare di grandiosità del personaggio, non gli sfugge come Bernardo sia stato il regista del concilio di Troyes (13 gennaio 1129) e di come sapientemente organizza il dibattito portando il Concilio a deliberare l’ingresso nella Chiesa cristiana di cavalieri (Ordine Templare) i quali, pur facendosi monaci, dovevano nel contempo essere anche disposti e pronti a svolgere a tutti gli effetti una funzione militare, con eventuale uccisione del nemico.

Per onestà intellettuale non addossa a Bernardo la responsabilità dell’autorizzazione all’uccisione dei nemici della nuova Chiesa. Infatti ci dice che tale responsabilità è da attribuirsi al sinodo romano del 1078, ma sicuramente Bernardo rivoluziona il pensiero teologico portando l’ordine monastico al concetto di “malicidio”; uccidere, per i templari, ma per estensione a tutti credenti, non è più omicidio quando l’atto viene rivolto ad un nemico della Chiesa. E riporta quanto scrive il nostro Santo nelle laude.

Scarselli ci fa notare che “nessun re è grande per il proprio cameriere”.

L’autore considera accettabile il comportamento di Bernardo quando opera, con grandezza, in eventi storici, ma trova fortissimi elementi di critica e di censura nell’atteggiamento che l’abate assume nei riporti interpersonali con sapienti coevi. Sono queste due condizioni, cosi drasticamente opponenti, da indure il nostro autore a rimarcare che per una compiuta valutazione di un carattere umano è necessario valutare l’uomo in toto. Per questo tutto il quinto capitolo afferisce questo profilo.
E’ una necessità culturale che consente di giungere, con l’analisi a tutto tondo, del personaggio, di avvicinarsi alla sua concreta realtà comportamentale.
Il nostro autore non spinge il lettore verso un senso o l’atro ma gli lascia una sua possibilità di valutazione.

Categoria: Rivista n° 1 01/2014 | RSS 2.0

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