Graziani S., “L’Unione Sovietica tra Lenin e Stalin”


L’Unione Sovietica tra Lenin e Stalin

Simone Graziani

 

La morte di Lenin (21 gennaio del 1924) apre all’interno dei vertici del Partito la lotta per la successione. Il Partito in quel periodo è ancora diviso in quattro correnti: la corrente di sinistra che fa capo a Trockij, contrario alla Nuova politica economica ma favorevole ad una maggiore democrazia interna al Partito, la corrente di centro-sinistra, che fa capo a Kamenev e Zinov’ev, anch’essa ostile alla NEP ma ostile anche alla militarizzazione dell’economia propinata da Trockij, la corrente di centro-destra che fa capo a Stalin, favorevole alla NEP senza però che si lasciasse ai contadini totale libertà di speculazione ed infine la corrente di destra che aveva il suo leader in Bucharin, che essendo la più filocontadina vorrebbe concedere ai contadini una totale libertà economica. Famoso è il suo motto: “Contadini arricchitevi”; al contrario nella sfera politica essa è decisamente la corrente più intollerante, favorevole al divieto di frazionismo interno al Partito. Subito dopo la morte di Lenin la Troika, composta da: Stalin, Kamenev e Zinov’ev, nominata dal Partito per assumere le veci di Lenin durante la sua indigenza, rafforza la sua alleanza allo scopo di eliminare Trockij, considerato l’erede naturale di Lenin. Trockij nel giro di un anno si trova, così, in completa minoranza politica; la sua precaria posizione è poi aggravata dalle esternazioni pubbliche contro il nuovo indirizzo politico-economico del Partito, e dall’aver costituito, nel 1926, “l’Opposizione Unita”. Questo suo atto dà ai vertici bolscevichi l’occasione per la sua completa esautorazione, possibile anche dal punto di vista giuridico, il frazionismo interno al Partito era vietato dal 1921. Nel 1925 perde, così, la carica di Commissario del popolo della Marina e della Guerra, nel 1926 il seggio nel Politburo, nel 1927 viene espulso dal Comitato Centrale prima e dal Partito poco dopo, infine, nel 1929 è esiliato in Turchia con l’accusa, appunto, di frazionismo interno. La soppressione politica di Trochij è architettata e messa in atto dalla Troika con l’avvallo di tutta l’ala del Partito antitrotzkista. Eliminato politicamente Trockij, Stalin abbandona l’alleanza con Kamenev e Zinov’ev per schierarsi nettamente con Bucharin. L’alleanza con quest’ultimo si deve, soprattutto, a causa di una comune convergenza verso la NEP, che in quel momento sembra anche dare i risultati sperati. Come già detto Stalin nei primi anni venti appoggia la posizione favorevole alla NEP e di grande fiducia verso i contadini. Questa nuova alleanza porta all’eliminazione politica di Kamenev e Zinov’ev ed, ovviamente, della loro corrente. La loro eliminazione non va così a fondo come quella di Trockij, limitandosi perlopiù ad una privazione della loro autorità politica. Zinov’ev perde la presidenza del Komintern, il seggio al Politburo e al Comitato centrale, oltre ad essere esiliato, insieme a Kamenev, a Kaluga, una città a poche centinaia di chilometri da Mosca; sentenza questa applicata con pochissimo rigore. Questa differenza di trattamento con Trochij è dovuta a due fattori: il primo legato al minor prestigio di quest’ultimi e quindi meno pericolosi di quanto lo fosse Trockij, il secondo si lega alla sfiducia che, dal 1928, Stalin comincia a maturare verso i contadini inducendolo ad un avvicinamento alla sinistra. Infatti, nel 1929, durante l’ennesima crisi a forbice, Stalin, indignatosi dinanzi dell’atteggiamento speculativo dei kulaky (contadini ricchi), fa definitivamente venir meno il suo appoggio al mondo rurale ed alla NEP. Rotta l’intesa con Bucharin, che rimane sulle proprie posizioni, Stalin utilizza gli esautorati Kamenev e Zinov’ev per mettere in minoranza Bucharin e la sua corrente. Bucharin perde la direzione della Prava (il quotidiano del Partito), il seggio al Politburo e la presidenza del Komintern. La NEP viene, così, abbandonata sostituita dalla collettivizzazione forzata delle terre, con la nascita dei kolchoz (fattorie cooperative) e dei sovchoz (fattorie di proprietà dello Stato); i kulaky sono soppressi come classe sociale.

 

Concludo con due scritti di personalità diverse, ma entrambe appartenute, seppur in ruoli e circostanze molto differenti, al comunismo rivoluzionario del secolo scorso: Rosa Luxemburg e Lev Trockij.

 

I due scritti hanno tagli e scopi differenti, ma in entrambi, anche se in modo più chiaro in quello della Luxemburg, si può scorgere che la natura della Rivoluzione bolscevica è diversa da quella che si è creduto essere. La Luxemburg scrive il suo articolo nel 1918, quando la rivoluzione era scoppiata da solo un anno e poco si sapeva su quello che realmente stava accadendo nella lontana Russia, dimostrando un intuito ed una capacità di analisi sorprendenti; lo scritto di Trockij risale al 27 febbraio del 1940, quando ormai la Rivoluzione bolscevica ha lasciato, già da almeno un decennio, il posto allo stalinismo, di cui egli, come tutta la classe dirigente del 1917, fu vittima.

 

Luxemburg:

 

Lenin e Trockij hanno sostituito ai corpi rappresentativi eletti con suffragio universale i soviet, come unica vera rappresentanza delle masse lavoratrici. Ma, soffocando la vita politica in tutto il Paese, è fatale che la vita si paralizzi sempre più nei soviet stessi. Senza elezioni generali, senza libertà illimitata si stampa e di riunione, senza libera lotta di opinioni, la vita muore in ogni istituzione pubblica, diventa vita apparente ove la burocrazia rimane l’unico elemento attivo.

La vita pubblica cade lentamente in letargo; qualche dozzina di capi di capi di partito di energia instancabile e di illimitato idealismo dirigono e governano; tra loro comanda in realtà una dozzina di menti superiori. Una élite della classe operaia viene convocata di quando in quando a delle riunioni per applaudire i discorsi dei capi e per votare all’unanimità le risoluzioni che le vengono proposte.

E’ dunque in fondo il governo di una cricca, una dittatura certamente, ma non la dittatura del proletariato, bensì la dittatura di un pugno di uomini politici, una dittaura nel significato borghese, nel significato giacobino[1].

 

Trockij:

 

La mia pressione alta (e in continuo aumento) inganna chi mi sta vicino sullo stato reale della mia salute. Sono attivo e abile al lavoro, ma la fine, evidentemente, è vicina. Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con l’incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell’uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi.
Queste righe saranno rese pubbliche dopo la mia morte. Non ho bisogno di confutare ancora una volta le stupide e vili calunnie di Stalin e dei suoi agenti: non v’è una macchia sul mio onore rivoluzionario.
Né direttamente né indirettamente non sono mai sceso ad accordi, o anche solo a trattative dietro le quinte, coi nemici della classe operaia. Migliaia d’oppositori di Stalin sono cadute vittime d’accuse analoghe, e non meno false. Le nuove generazioni rivoluzionarie ne riabiliteranno l’onore politico e tratteranno i giustizieri del Cremlino come si meritano.
Ringrazio con tutto il cuore gli amici che mi sono stati fedeli nei momenti più difficili della mia vita. Non ne nomino nessuno in particolare, perché non posso nominarli tutti. Mi ritengo tuttavia nel giusto facendo un’eccezione per la mia compagna, Natalja Ivanova Sedova. Oltre alla felicità di essere un combattente per la causa socialista, il destino mi ha dato la felicità d’essere suo marito. Durante i circa quarant’anni di vita comune, ella è rimasta per me una sorgente inesauribile d’amore, di generosità e di tenerezza. Ha molto sofferto, soprattutto nell’ultimo periodo della nostra esistenza. Mi conforta tuttavia, almeno in parte, il fatto che abbia conosciuto anche giorni felici.
Per quarantatre anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei naturalmente di evitare questo o quell’errore, ma il corso della mia vita resterebbe sostanzialmente immutato. Morirò da rivoluzionario proletario, da marxista, da materialista dialettico, e quindi da ateo inconciliabile.
La mia fede nell’avvenire comunista del genere umano non è meno ardente, anzi è ancora più salda, che nei giorni della mia giovinezza.
Natascia si è appena avvicinata alla finestra che dà sul cortile, e l’ha aperta in modo che l’aria entri più liberamente nella mia stanza. Posso vedere la lucida striscia verde dell’erba ai piedi del muro, e il limpido cielo azzurro al disopra del muro, e sole dappertutto.
La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore
[2].

 

 

Se dallo scritto della Luxeburg emerge chiaramente che la Rivoluzione russa ha perso il carattere di Rivoluzione socialista imboccando una via autoritaria, di stampo giacobino e borghese, in totale antitesi con la dittatura del proletariato; dallo scritto di Trockij emerge la deviva stalinista presa dalla rivoluzione, ed una chiara volontà, di chi scrive, di ribadire le false accuse di Stalin nei suoi confronti. Ma ciò che colpisce nello scritto di Trockij è l’uso ripetuto delle parola fede riferita all’avvenire comunista della società. Trockij si difinisce un marxista ed un materialista dialettico, dovrebbe avere una visione materialista della storia; sappiamo che Marx, che com’è noto appartiene alla sinistra hegeliana, applica alla materia, cioè alla capacità dell’uomo di produrre beni materiali, il dinamismo della dialettica hegeliana. Per Hegel il divenire è un divenire ordinato, si sviluppa secondo la logica triadica di tesi, antitesi e sintesi; anche i rapporti sociali ed economioci si sviluppano in questo modo, attreverso lo scontro di forze in opposizione tra loro (tesi ed antitesi), ogni cosa è autocontraddittoria ed è in continuo divenire, ogni tesi genera al suo interno la propira contraddizione, che è l’antitesi, dallo scontro tra tesi ed antitesi, deriva un nuovo equilibrio chiamato sintesi, in questa sintesi troviamo un progredire anche dei rapporti umani e di produzione e con essi anche della storia[3]. Il progresso storico è quindi slegato dalla fede; la fede nel progresso, nell’avvenire o nell’uomo, è più collocabile in una visione ed elaborazione romantica della storia, anziché materalista, quindi distante da quella filosofia cui Trockij sostiene di aver aderito.

 

[1] R. Luxemburg, La rivoluzione russa, in A. Salomoni, “Lenin e la rivoluzione russa”, p. 97, Firenze, Giunti, 1993.

[2] www.wikipedia.org

[3] Cfr. A. Gargano, Storia del pensiero filosofico nell’Ottocento e nel Novecento, Istituto italiano per gli Studi Filosofici Press, Napoli, 2011, pp. 57-58.

Categoria: Rivista n° 4 01/2016 | RSS 2.0

Mappa sito - Privacy Policy - Credit - Termini d'uso - Cookie Policy

Rinnova o modifica la tua autorizzazione ai cookie