Daniela Stiaffini – L’immagine del monastero di San Paolo di Pugnano (San Giuliano Terme-Pisa) in un cabreo del 1627


Daniela Stiaffini

L’immagine del monastero di San Paolo di Pugnano (San Giuliano Terme-Pisa) in un cabreo del 1627

In memoria di Mons. Enzo Virgili

Immagini storiche dell’assetto territoriale pisano
Nel corso del XVII e XVIII secolo i numerosi cabrei , redatti per documentare le proprietà fondiarie e immobiliari appartenenti a istituzioni ecclesiastiche o laiche oppure a grandi casate, offrono interessanti informazioni grafiche sulle planimetrie e gli alzati di edifici, sulla loro collocazione urbana oppure rurale. Questi cabrei oggi rappresentano una delle fonti più importanti per la ricostruzione della topografia della città e della sistemazione antropizzata del territorio circostante. Questo non solo perché non sono molte altre le fonti documentarie disponibili al riguardo, ma anche, e soprattutto, perché la puntuale rappresentazione dei beni immobiliari e fondiari costituiva un dovere irrinunciabile per ogni agrimensore, ingegnere o architetto del XVI, XVII e XVIII secolo . Quindi i disegni di scorci cittadini o brani di paesaggi campestri contenuti nei cabrei del XVI, XVII e XVIII secolo si possono considerare rappresentazioni precisissime di situazioni urbanistiche delle città e della sistemazione antropizzata del territorio, venendo a costituire per gli studiosi moderni una fonte molto preziosa .
In questa sede vorrei focalizzare l’attenzione sulle testimonianze contenute in un cabreo dell’Archivio Storico del Conservatorio S. Anna di Pisa, custodito presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Studi Universitari e di Perfezionamento di Pisa . Si tratta di documentazione inedita, sconosciuta alla maggior parte degli studiosi, preziosa per le notizie storiche che tramanda, molto piacevole sotto il profilo estetico . Questo cabreo, redatto nel “1627”, offre una notevole ricchezza di informazioni in quanto contiene planimetrie in scala (in genere espresse in braccia fiorentine), accompagnate dalle piante dei piani terreni e dei prospetti principali di questo complesso di proprietà del monastero di S. Anna di Pisa.
Il monastero-fattoria di S. Paolo di Pugnano (S. Giuliano Terme-Pisa)
Dalla vasta documentazione del monastero di S. Anna, conservata nell’Archivio Storico del Conservatorio di S. Anna, ho estratto, per presentarla in questa sede, la documentazione relativa al monastero di S. Paolo di Pugnano, prima sede delle monache benedettine di S. Anna di Pisa . L’interesse per questa documentazione è notevole perché da un lato documenta un nuovo fenomeno di insediamento nella campagna che potremo definire, monastero-fattoria e dall’altra offre l’unica immagine esistente di questo complesso monastico con chiesa e campanile, oggi quasi del tutto scomparso perché trasformato in abitazione privata.
Al complesso monastico era annessa una piccola fattoria con due case da lavoratore, forno comune, magazzino e le infrastrutture necessarie per la prima trasformazione delle derrate, come il frantoio per l’olio, il tinaio per la produzione del vino, il metato per l’essiccazione delle castagne. I prodotti erano ricavati, per lo più, dalle vaste proprietà che circondavano il monastero di proprietà delle monache. Appezzamenti di terra e porzioni di bosco per centosettanta stariora e trentacinque pertiche alla fiorentina, estesi ai piedi del Monte Maggiore, costituenti la dote data alle monache dai loro fondatori, i conti da Ripafratta . Lo schizzo preparatorio fatto in occasione della compilazione del cabreo del “1627” attesta in dettaglio le colture presenti . Nella zona verso Levante, dove nel “1627” la terra del monastero confinava con i beni boscati degli eredi di Orazio e Raffaello Roncioni, era presente il bosco con una prevalenza di castagni e lecci; il confine con le proprietà esterne al monastero era segnato con un filare di olmi; nel sottobosco si raccoglievano stipe, sembule, albarelli, mortelle. Nella fascia inferiore, divisa in quattro settori, si riscontrava la presenza di due uliveti. Una vasta area, al margine della quale sorgeva il monastero, era caratterizzata da coltivazioni miste, anche ortive, e da alberi da frutta (peri, susini, fichi, meli); l’ultimo triangolo di terra (delimitato a Nord dalle case da lavoratore annesse al complesso monastero-fattoria, portava alla via delle Fontanelle che proseguiva verso Civitonica e il Podere della Tersinaia (sempre di proprietà delle stesse monache) «specializzata per la coltivazione degli alberi da frutta. Un confronto fra i due cabrei rivela come, nello spazio di quasi un secolo, le monache avessero ampliato i loro possedimenti con l’acquisto verso Est della fascia di bosco un tempo appartenuta alla famiglia Roncionil così che, nel “1717” le proprietà monastiche confinavano con la via di costia di Monte detta via di Monte Maggiore; si trattava di un’altra buona porzione di bosco e sottobosco con castagni, olmi lecci, mortella, stipa. La parte sottostante, nelle cui estremità Nord-occidentale è inserito il monastero-fattoria di S. Paolo, era unito in un unico blocco ed era boscato con presenza di castagni, lecci e mortella; il resto del territorio era coltivato con alberi da frutta e poche viti. Nei pressi del monastero sopravviveva la rete viaria in gran parte fedele a quella attestata nel cabreo del “1627”. I possedimenti delle monache si erano ingrandite anche verso Ovest, al di là della via che andava «al podere della Tersinaia», che nel “1627” segnava il limite occidentale del confine delle proprietà monastiche. Si trattava di due appezzamenti di terra, rispettivamente di poco più di trentaquattro stariora e di circa nove stariora, circondati dalla viabilità interpoderale e da un botro. La porzione di terreno più grande era una presa di terra lavorativa, vignata, fruttata e cannettata posta nel luogo detto «Vigna grossa di San Pavolo»; quella più piccola era a coltura promiscua con terre lavorative e qualche olivo, vi era anche una capanna da usare come stalla per il ricovero del bestiame (mucche e cavali) chiamata «l’Olivi della capanna». Il cabreo del “1717” attesta quanta cura e attenzione le monache di S. Anna prodigassero verso la loro antica sede, non solo nel mantenere in buon stato ancora gli edifici monastici, la chiesa e il campanile, ma anche nell’ampliare i beni fondiari e nel trasformare le colture a seconda delle nuove esigenze del mercato. Nel “1717” una grande porzione della tenuta era coltivata a olivi, persisteva ancora la vigna, ma risulta nettamente in calo la parte di terra fruttata e ancora più esigua la terra ortiva, mentre la parte boscata forniva una buona quantità di castagne e nocciole. Risultava di un certo interesse anche l’esame delle case rurale e dei loro annessi . Alla parte terminale esterna del muro meridionale del monastero si addossava una casa da lavoratore. Il cascinale era a due piani, compreso il piano terra, aveva due ingressi e chiudeva lo spazio fra le terre coltivate (verso Est) e la via che conduceva a Pisa (verso Ovest), dando vita a una piccola piazzetta di cui costituisce una sorta di quinta. Al lato meridionale di questo edificio si addossava il forno comune per la cottura del pane. Una piccola strada denominata la via che andava al rio Fontanelle, divideva il forno dall’altro agglomerato di case da lavoratore e edifici rustici, costituendo l’altra quinta che chiudeva la piazzetta verso Sud. Questo gruppo comprendeva una casa da lavoratore a due piani, cui era attaccato un edificio rustico con, a piano terra, il frantoio per frangere le olive e un piano rialzato, nel quale trovavano posto alcune stanze affittate ai lavoratori delle terre del monastero. Al frantoio, dal lato verso la piazzetta, si addossava l’essicatoio per castagne, il metato. Importante era la funzione svolta dalla piazzetta che serviva da aia per svolgere i lavori agricoli e da un nodo stradale dal quale si dipartiva la viabilità minore che univa il monastero al podere della Tersinaia e a quello di Fontanelle e raccordava questa viabilità minore con la strada principale diretta verso Pisa. Sulla piazzetta si aprivano gli accessi al monastero, le porte principali delle due case da lavoratore e gli ingressi agli edifici rustici, non molto lontana la porta della chiesa «lungo la via che va a Pisa».
Sono ancora da mettere in rilievo due aspetti. In primo luogo la netta separazione di tutte le attività della fattoria da quelle del monastero. Quando le monache vivevano ancora presso il monastero di Pugnano (che lasciarono definitivamente solo dopo l’acquisto del complesso di Carmelitani in Barbaricina nei primi anni del XIV secolo) erano completamente isolate dall’attività dei «lavoratori delle terre del monastero». In secondo luogo i contadini e il fattore godevano del privilegio di abitare presso il monastero e la grande viabilità invece che nelle case coloniche sparse nei poderi, avendo a disposizione anche alcuni benefici come il pozzo e il forno comune. Dopo il trasferimento di tutte le monache nel monastero di Barbaricina, l’insediamento di Pugnano continuò a funzionare come una piccola fattoria di stampo di ancien regime, completamente autosufficiente e in grado di svolgere l’intero ciclo produttivo: dalla raccolta del prodotto (soprattutto olive e castagne) alla loro prima lavorazione (frantoio per l’olio, essiccatoio per le castagne) e al loro immagazzinamento (tinaio) prima della immissione sul mercato. Un disegno preparatorio per il cabreo del “1627” attesta la presenza di tre gelsi, uno sulla piazzetta davanti alla porta del monastero, gli altri due davanti alla porta della chiesa, alberi indispensabili per la coltura del baco da seta, che i lavoratori del monastero di Pugnano, curavano, nei momenti di stasi delle attività agricole.

La chiesa e il monastero dei SS. Paolo e Stefano di Pugnano
Sulla costa del Monte Maggiore il cabreo del monastero di S. Anna del “1627” attesta la presenza del monastero di S. Paolo e Stefano di Pugnano con la chiesa dedicata S. Paolo eremita . La chiesa è rappresentata a navata unica, a capanna, com’è tutt’oggi; nel XVII secolo aveva ad Est un’abside libera, non visibile dall’esterno perché racchiusa nel chiostro orientale del monastero; all’esterno, fra il lato meridionale della chiesa e l’abside, s’innalza il campanile (non più esistente). Da notare che la facciata della chiesa non è perfettamente in asse con l’annesso muro occidentale del monastero. Essa, fornita di porta principale con scalini d’accesso, si faccia sulla via principale, quella definita dalle fonti la «via che va a Pisa», mentre il lato meridionale con il campanile al suo fianco si apre su una sorta di piazzetta; gli altri lati della chiesa non sono visibili dall’esterno perché inglobati nella struttura monastica. All’interno, l’edificio presenta il presbiterio sopraelevato e l’altare maggiore collocato nell’abside; una piccola porta lo mette in comunicazione con il campanile. La pianta del cabreo del”1627” non testimonia alcun tipo di comunicazione fra la chiesa e il monastero che invece è segnalata nello schizzo preparatorio nel muro settentrionale della chiesa, davanti agli scalini del presbiterio, e collega la chiesa al portico settentrionale del monastero.
Il monastero si sviluppa dietro l’abside della chiesa (chiostro orientale) e lungo il lato settentrionale di essa e non è visibile dall’esterno (chiostro settentrionale). Sul lato occidentale, fra la chiesa e il chiostro, è inserita una costruzione bassa e corta, la cui profondità raggiunge grosso modo la metà circa della chiesa. Questo edificio, a un piano con una stanza sopra, comunica solo all’esterno tramite una porta aperta nel muro occidentale che immette sulla via che va a Pisa. I due chiostri sono affiancati ma separati da un muro, nel quale si apre una porta per mettere in comunicazione i due ambienti. La parte settentrionale del monastero è formata da una costruzione grosso modo quadrilatera, se non fosse per l’angolo Nord-Est fortemente smussato. Al centro è il chiostro, dotato di un loggiato superiore, del quale nel “1627” restavano in piedi il braccio meridionale e parte di quello orientale. Da quest’ultimo si accede ad alcuni locali del monastero come il pollaio; il braccio meridionale del chiostro è chiuso rispettivamente a Ovest e a Est dalla stanza adibita a tinaio e da un vano del monastero; verso Sud si affianca alla chiesa e in parte al muro divisorio del chiostro orientale. Tutto lo spazio restante è testimoniato come orto. Si può supporre che in origine il portico del chiostro fosse completato dai bracci settentrionale e occidentale. Il chiostro orientale, un quadrilatero assai irregolare, è di dimensioni minori: ha un portone di accesso verso l’esterno aperto nel muro meridionale, che lo mette in comunicazione con la piazzetta antistante. Da segnalare la presenza, lungo il muro orientale interno, della fonte e della pila per l’approvvigionamento dell’acqua, già attivo fra il 1184 e il 1206, quando Montanino da Sorico, come attestano le epigrafi, fece portare l’acqua all’interno del monastero.

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Categoria: Rivista n° 8 01/2020 | RSS 2.0

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