Toma Chiara, “Stare bene a scuola: buona relazione e apprendimento”


Chiara Toma

Stare bene a scuola: buona relazione e apprendimento

Il mondo è cambiato e in questo suo cambiamento è insito il cambiamento stesso che procede ad una velocità molto spesso insostenibile per l’essere umano che, naturalmente, ha dei ritmi in linea con quelli, appunto, della natura e che ora invece è costretto, per via delle circostanze e delle richieste della società, a non poter assecondare e rispettare. Il cambiamento è avvenuto dal momento in cui, come accennato poco fa, il modello della velocità e dell’efficienza che ci permette un’interconnessione globale e globalizzata si è diffuso su larga scala, supportato da nuove tecnologie e dall’avvento della rete internet. Questo sconvolgimento, da una parte ci permette di accorciare le distanze spazio-temporali, dall’altra però ha modificato profondamente la natura dell’uomo rendendolo, talvolta, più simile ad una di queste nuove tecnologie che a un essere umano. Tuttavia, se si sceglie di vivere nella società e quindi si sceglie di ovviare scelte drastiche, rifiutando il modello proposto dal mondo di oggi, è necessario far fronte alle trasformazioni che si stanno verificando nel campo della scienza, della tecnologia, delle comunicazioni e dei rapporti sociali e trovare delle risposte che non vengano dal passato perché ormai poco funzionali rispetto ai nuovi problemi. Risulta, invece, importante incoraggiare lo sviluppo di processi innovativi che permettano di portare nuove soluzioni per le nuove criticità. Infatti, questi continui e repentini cambiamenti trovano l’essere umano molto spesso impreparato e sprovveduto in quanto il bagaglio di conoscenze, abilità e competenze che porta con sé risulta già antiquato e non opportuno per affrontare questo nuovo modo di vivere. Proprio a partire da questa analisi ci si può accorgere che la scuola, così come altre istituzioni cardine, si ritrovi a vivere anch’essa una sorta di disorientamento, in quanto le basi su cui si è costruita nel corso del tempo, oramai, sono solo in parte ancora funzionali per fronteggiare e adeguarsi a queste novità. Ed è per questo motivo che risulta necessario che il mondo dell’educazione adotti nuove tecniche e si ponga dei nuovi obiettivi.
Rispetto alle circostanze in cui si trova a vivere la scuola risulta fondamentale che il suo scopo, oltre a trasferire un bagaglio di conoscenze e competenze, sia quello di impegnarsi a creare degli individui aperti alle novità e alle trasformazioni. Questo perché solo persone di questo tipo possono affrontare in maniera costruttiva una realtà che cambia velocemente.
L’obiettivo della scuola, che rappresenta uno spaccato della società in cui viviamo è, quindi, quello di proporre un modello in cui gli alunni si sentano a proprio agio quando le cose cambiano. Questo perché nella società di domani, ma anche già di oggi, la capacità di guardare alle novità con curiosità e con fiducia sarà ancora più importante di conoscere e portare avanti un’eredità che viene dal passato e che incontra delle difficoltà nella risoluzione di problematiche del presente. E’ importante, quindi, che la scuola si assuma questa responsabilità in quanto, proprio per le condizioni in cui si può proporre questo “allenamento al cambiamento”, sperimentandolo gradualmente in un ambiente sicuro e monitorato, può dare ai bambini e ai ragazzi la possibilità di guardare la scuola anche da un altro punto di vista, come una palestra di vita.
Per far si che questa esperienza sia arricchente per gli alunni è importante che gli insegnanti e gli educatori siano a loro volta flessibili, aperti e partecipi ai processi di trasformazione. Essi, inoltre, devono essere in grado di tramandare le conoscenze e i valori del passato, e al contempo di essere pronti a recepire le novità indispensabili per far fronte ai cambiamenti futuri. Risulta fondamentale creare nel mondo della scuola un terreno fertile e favorevole allo sviluppo psicologico e intellettuale degli individui, un clima in cui la novità sia percepita con entusiasmo in quanto permette di sperimentare e di aprirsi a nuove prospettive.
Quindi, parafrasando Carl Rogers, è necessario che la scuola sviluppi tutto il sistema educativo in una direzione che si allontani dall’insegnamento e si diriga verso forme di autonomia e di libertà di apprendimento . E’ questo, secondo uno dei maggiori esponenti della psicologia umanistica, il modo di creare degli individui aperti a tutte le esperienze, capaci di essere consapevoli di quanto accade e di accettarlo, sempre forti della volontà di rinnovarsi e migliorare. Solo così la scuola, diventando aperta al cambiamento, formerà alunni in grado, a loro volta, di essere predisposti al cambiamento e quindi pronti a vivere in una società mutevole come quella di oggi.
Essa, per essere in linea con quanto le accade attorno, è necessario che sia di tipo inclusivo e che si adatti, anche rispetto alle risorse utilizzate, a quelli che sono gli standard richiesti dal mondo del lavoro, proprio perché è da qui che si mettono le basi per creare la futura classe lavoratrice e, soprattutto, i futuri cittadini. E’ importante perciò che sia in linea con i bisogni di una società globalizzata e interculturale, trovando risposte originali a queste nuove esigenze. E’ una situazione che la scuola ha già compreso e ciò ne è testimonianza l’accresciuto interesse per il mondo esterno, aprendosi ad esso, osservandolo e comprendendo che i suoi tradizionali riferimenti non sono più sufficienti e che risulta necessario calarsi nella realtà concreta, integrando conoscenze e cultura con abilità e competenze utili per l’inserimento nel mondo del lavoro e nella società in generale.
Il compito ora è più complesso.
Si passa, infatti, dall’acquisire la consapevolezza che molti aspetti sono cambiati e che quindi è necessario adeguarsi e assecondare il cambiamento.
Primo grande cambiamento è avvenuto rispetto all’inclusione degli alunni con disabilità e conseguentemente a questo, il comprendere che era necessario ammodernare i tradizionali metodi didattici in funzione di un modo nuovo di insegnare e di insegnare ad apprendere. Secondo cambiamento è conseguito ai flussi migratori che hanno portato la scuola a passare da una dimensione locale a una dimensione globale e multiculturale. Sono, infatti, sempre più frequenti in Italia realtà in cui le classi di molte scuole sono eterogenee, in cui convivono alunni che provengono da Paesi differenti e che sono portatori di culture differenti e che parlano lingue differenti.
Proprio in seguito a questi grandi cambiamenti è importante che la scuola scelga anche essa di imparare per far si che questa cultura che trasmette possa essere il più possibile in linea con i bisogni degli alunni e della società, in cui essi entreranno a far parte, dopo il loro ciclo di studi.
La scuola intesa come un’organizzazione che apprende, dove con il termine “apprendere”, si intende quella capacità di arricchirsi culturalmente in un’ottica di crescita continua che permetta, a tutti i soggetti che ruotano attorno ad essa, di implementare il proprio bagaglio di conoscenze e strategie, accogliendo il “nuovo” come una sfida da cui imparare, respirando un clima di trasformazione, di collaborazione e di integrazione.
Per rendere tutto ciò possibile è stata fondamentale la presa in carico della situazione da parte della classe politica del Paese che, regolamentando alcuni aspetti del cambiamento, ha contribuito, attraverso la condivisione di normative e linee guida, alla realizzazione di esso.
Focalizzandosi sui due punti affrontati in precedenza: l’inclusione degli alunni con disabilità e degli alunni stranieri, fondamentali sono state le emanazioni di leggi a tutela di questi soggetti.
Nel primo caso, riguardante gli alunni con disabilità, il primo grande passo è stato fatto negli anni Ottanta e Novanta. Il riferimento normativo in merito è la legge 104 del 12 Febbraio 1992 in cui, inoltre, sono stati indicati i tre strumenti di cui il corpo docenti si deve avvalere per l’integrazione degli alunni disabili: Diagnosi Funzionale, Profilo Dinamico Funzionale e Piano Educativo Individualizzato e, insieme a questi, prende forma la figura del docente specializzato per le attività di sostegno didattico per gli alunni con disabilità.
Altri due momenti importanti sul piano legislativo si raggiungono in favore e per la tutela degli alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES), quest’ultima categoria è quella in cui sono inseriti gli alunni stranieri di cui si è parlato in precedenza.
In particolare, per il caso dei DSA, la normativa di riferimento è la Legge 170/10, “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”. In questa categoria rientrano disturbi come dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia. La loro presenza può causare limitazioni in alcune attività della vita quotidiana e, in particolare, nell’apprendimento scolastico. Ed è proprio per questo motivo che sono previsti l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, la prima è calibrata sul singolo anziché sul gruppo. La seconda, quella personalizzata, si rivolge ad un particolare discente (D.M. del 12 Luglio del 2011).
Per quanto riguarda la normativa sui BES si fa riferimento alla direttiva ministeriale del 27 Dicembre 2012. In questa categoria rientrano, come già detto, gli alunni stranieri Neoarrivati in Italia (NAI), con disabilità e con svantaggi culturali, linguistici e socio-economici, comprese le problematiche inerenti all’appartenere a una cultura diversa.
La scuola ha risposto a questi cambiamenti esterni con un cambiamento interno, modificando il modo di insegnare e avvalendosi di nuovi strumenti che possano dispensare gli alunni in difficoltà e quindi evitare attività potenzialmente difficoltose e compensare alcune mancanze con strumenti che diventano, invece, supportivi e che permettono a tutti di partecipare, ciascuno a suo modo e in base alle proprie caratteristiche, alla vita scolastica, così da stare bene a scuola.
Si può notare, quindi, quanto impegno e quanta strada la scuola, nonostante alcune difficoltà, sta scegliendo di fare per accogliere i bisogni della sua comunità e tutto questo è possibile grazie ad un altro grosso cambiamento, un cambiamento di prospettiva: l’alunno al centro della scuola.
Si vede come sono state attuate delle pratiche per incontrare le necessità degli alunni svantaggiati e ciò è stato possibile proprio perché ogni singolo individuo è stato posto al centro del processo di insegnamento-apprendimento e quindi si è iniziato a guardare prima i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze, ciascuno con le proprie peculiarità, e solo dopo pensare a loro anche come alunni. Questo nuovo atteggiamento che ha preso le mosse da una necessità, fortunatamente si sta diffondendo, estendendosi oltre le situazione di svantaggio e disabilità. Finalmente ci si è ricordati delle persone.
Questo è il punto di partenza per stare bene a scuola, punto di partenza che credo sia auspicabile diventi anche l’obiettivo principale da assumere ai fini del successo scolastico e del successo personale di ogni singolo studente. Tutto questo è possibile se si aiutano i ragazzi a raggiungere una maggiore maturità personale e un comportamento costruttivo così da fronteggiare le sfide di adattarsi ad un mondo mutevole.
Rispetto allo stare bene a scuola è opportuno focalizzarsi su due aspetti che ritengo fondamentali per far si che ciò avvenga: la costruzione di una buona relazione con gli alunni e la conoscenza dei processi di apprendimento.
Come già detto, la scuola rappresenta il principio di molte competenze del futuro adulto ed è in questi anni che gli insegnanti, diventando delle figure di riferimento, possono facilitare lo sviluppo di relazioni interpersonali che si spera si rivelino portatrici di risorse di resilienza fondamentali per tutti gli alunni, di ogni grado di scuola. Proprio per questo è importante investire nella costruzione di una buona relazione con gli alunni perché attraverso questa sperimentazione si possono acquisire nuove strategie di coping che si potranno via via adeguare, oltre che ai contesti scolastici, anche ai contesti e alle relazioni che vedranno i bambini e i ragazzi protagonisti della loro vita.
Per questo l’insegnante ha una responsabilità verso i propri alunni che va oltre l’insegnare ciascuno le proprie discipline, egli diventa anche un esempio, un modello e un punto di riferimento, e un interlocutore con cui gli alunni possono sperimentare se stessi.
E’ importante, quindi, che egli sia onesto, chiaro, presente, aperto al confronto, supportivo, fermo, autentico e che non si presenti solo con la maschera del “docente” ma che porti in classe anche se stesso, con la sua umanità. E’ questo che permette di costruire una buona relazione con i ragazzi.
Mi rifaccio a quelli che sono i capisaldi della psicologia umanistica: l’accettazione, l’ascolto attivo, l’autenticità e l’empatia. Quando si è in grado di stare in relazione in questo modo si gettano le basi per costruire qualcosa che supera l’insegnamento e che per i ragazzi è fondamentale: la fiducia. Essi sanno chi hanno davanti e così imparano essi stessi a fidarsi e a mostrarsi per come sono. Così si impara a stare bene a scuola: sapere di poter essere quelli che si è, indipendentemente dai voti.
Attraverso l’accettazione dell’altro, non intesa come mera rassegnazione ma come consapevolezza che ciascuno di noi ha un modo unico di stare al mondo, si dà diritto di esistenza alla diversità e alla particolarità che caratterizza ogni essere umano. Sapere di andare bene così come si è, questo è fondamentale per costruire l’autostima.
Attraverso la pratica dell’ascolto attivo si impara a sintonizzarsi sui canali di comunicazione preferenziali dell’altro, si impara a guardare, ad ascoltare a comprendere come questi si muove nel mondo e come percepisce la realtà attorno ad esso. L’ascolto attivo è uno strumento potente, permette di accedere ad una visione d’insieme dell’interlocutore, cogliendo sfumature che possono rivelare quanto stia accadendo nel mondo interiore che abbiamo davanti.
Attraverso l’autenticità si perpetua il valore della libertà, poter dire come ci si sente, anche quando quello che si sente non è solitamente accettato, come accade per le cosiddette emozioni “negative”: rabbia, tristezza, delusione, paura. Anche questo permette di imparare a potersi fidare, sapere che chi ci ascolta accoglie e valida il nostro sentire. I primi a fare questo dovrebbero essere gli insegnanti e questo è possibile solo se ci si conosce e ci si accetta così come si è. Attraverso il praticare l’autenticità gli alunni imparano a fare altrettanto. Ed essere autentici, con se stessi in primis, è fondamentale perché solo questo consente di accedere a quelli che sono i bisogni reali e quindi trovare la propria strada, soprattutto in un periodo della vita, quello della pre-adolescenza/adolescenza, in cui gli interrogativi sono molti e spesso, per paura di rimanere emarginati in un momento della vita in cui il gruppo dei pari riveste un ruolo fondamentale, ci si allontana da ciò che è importante per sé pur di evitare la solitudine e il rifiuto. Quindi la scuola può essere un contenitore in cui allenarsi ad essere autentici e ad imparare come si fa, sapendo quindi come accedere ai propri bisogni reali, mantenendo un contatto con il mondo esterno.
Attraverso l’empatia si può imparare a sentire il “mondo dell’altro come se fosse il nostro, mantenendo la qualità del come se che ci permette di ricordarci quali siano i confini tra noi e l’altro”. Acquisendo questa competenza si fornisce ai ragazzi uno strumento che gli permette di entrare in relazione con l’altro, comprenderne il vissuto emotivo e quindi avvinarsi su un piano umano. Questo permetterebbe di arginare molti episodi di prevaricazione, violenza e aggressività perché, attraverso l’uso di una comunicazione empatica, l’altro è più vicino a noi.
Queste caratteristiche, se sperimentate quotidianamente nell’ambiente protetto della scuola, sarebbero delle risorse che gli alunni acquisirebbero per la loro vita e che si porterebbero fuori dalle mura della scuola, permettendo loro di mettere in pratica atteggiamenti e comportamenti resilienti e rispettosi verso se stessi e verso gli altri.
Per questo l’insegnante ha il compito, per primo, di proporre queste modalità e di trasferire questo nuovo modo di stare in relazione. Quando questo avviene e si costruisce l’alleanza operativa tra il docente e il gruppo classe e il docente e i singoli alunni, è auspicabile che saranno i ragazzi stessi, tra di loro, a iniziare a proporre queste stesse modalità e da qui, da una alleanza tra esseri umani, che si può partire per apprendere, forti del fatto che la classe è un luogo sicuro, in cui si va bene così come si è, ciascuno con le proprie peculiarità, in cui si è liberi di manifestare quello che si sente perché si sa che si viene ascoltati e ciò avviene autenticamente. Attraverso la sedimentazione di questi capisaldi può avvenire il cambiamento, imparando a comprendere che la scuola non è solo sinonimo di voti e di regole ma anche un luogo in cui poter stare bene e, paradossalmente, proprio perché si inizia a stare bene è anche più semplice rispettare le regole e apprendere in serenità.
E’ fondamentale, quindi, dare importanza alla conoscenza degli alunni, mostrarsi genuinamente interessati a loro. Prima di essere alunni sono persone, sembra una banalità ma spesso, a causa della fretta, del programma da finire, dei tempi da rispettare, dei voti, questo si dimentica ed è un gravissimo errore. E’ Piaget che sosteneva che “l’affettività è il motore dell’intelligenza” .
Oltre a questo, altro aspetto fondamentale da ricordarsi, è quello di sintonizzarsi con i bisogni della classe e dei singoli individui. Talvolta, infatti, è difficile fare lezione, ottenere l’attenzione e non si comprende bene il perché. Questo non è sempre indice di mancanza di interesse o di volontà, semplicemente può capitare che i bisogni in quel momento siano altri e che quindi cambi la scala delle priorità. Risulta importante e molto funzionale chiedere semplicemente come si sta e di cosa si ha bisogno, talvolta il solo fatto di avere la possibilità di esprimersi, dando diritto d’esistenza a quanto si vive, permette il superamento di quanto si sta vivendo e si può passare oltre, oppure, se ciò non è possibile, può essere funzionale trovare un accordo tra le parti: docente e alunni. Anche attraverso queste sperimentazioni gli studenti imparano ad assumersi la responsabilità dei loro vissuti personali, trovando il coraggio di poter comunicare quello che è realmente perché forti di quel clima di fiducia che si è instaurato e, inoltre, imparano anche a negoziare con se stessi e con gli altri, posticipando un bisogno o modificandolo. Il docente, quindi, può diventare un interlocutore attraverso il quale acquisire questa competenza.
Come ci ricorda Piaget:
“Il bisogno è la manifestazione di uno squilibrio: si ha bisogno quando qualcosa la di fuori di noi e dentro di noi, una struttura fisica o mentale, si è modificato. Si tratta di riadattare la condotta in funzione di questo cambiamento. L’azione si esaurisce quando si è ristabilito l’equilibrio tra il fatto che ha provocato il bisogno e la nostra organizzazione mentale quale si presentava anteriormente ad esso” .
Si comprende, quindi, che per ristabilire una situazione di equilibrio quanto meno è necessario permettere ai bisogni di manifestarsi. Il bisogno, quindi, si trasforma nella manifestazione di un desiderio, nell’esplicitazione di una richiesta ed è proprio in questo modo che esso esiste e vive ed è grazie a questo vivere che si può avviare un dialogo tra le parti, confrontarsi e, se si vuole e se sono presenti le condizioni, avviare un confronto e una negoziazione. Si innescano processi che permettono ai ragazzi di mettersi in gioco, di assumersi le proprie responsabilità e attraverso l’espressione delle proprie richieste esprimono, quindi, se stessi.
Tutto questo è possibile se si instaura una buona relazione, basata sugli ingredienti citati prima e che affondi le sue radici nella fiducia reciproca e nella comunicazione. E’ importante ascoltare e parlare con gli alunni.
Come già anticipato, una buona relazione permette di accedere ad un apprendimento di qualità. E’ un’ottima base da cui partire per insegnare e permettere agli alunni di imparare in un modo che non si limiti solo al trasferimento di nozioni ma che si trasformi in un apprendimento esperienziale, in cui oltre alle informazioni ci sia anche un passaggio di emozioni che viene definito apprendimento significativo, in cui non è coinvolta solo la testa, quindi la parte cognitiva, ma si tengono in considerazione anche i sentimenti e i significati personali e si permette di destare gli interessi vitali del soggetto che apprende .
Differente è invece quel tipo di apprendimento in cui si chiede agli studenti di imparare nozioni, per lo più in maniera mnemonica, che molto spesso sono prive di significato per loro e quindi verranno dimenticate facilmente. E’ importante completare il passaggio di nozioni con aspetti che siano significativi per gli alunni, in modo tale che quello che acquisiscono abbia un valore per loro e possa sedimentarsi.
E’ possibile auspicare la riuscita di un apprendimento di tipo significativo se si abbandona un tipo di insegnamento esclusivamente intellettuale e si svolgono delle attività per dare valore e rendere reale quanto si sta imparando.
Quali sono, quindi, le caratteristiche che definiscono la tipologia di apprendimento significativo?
Comporta una partecipazione globale della personalità del soggetto, in quanto egli si impegna ad apprendere non solo sul piano conoscitivo ma anche su quello affettivo ed emozionale;
E’ auto motivato, infatti, anche quando è presente un incentivo o uno stimolo esterno, il senso di scoprire, di raggiungere, di afferrare e comprendere una cosa prende vita interiormente;
Ha una reale e profonda incidenza, poiché contribuisce a modificare il comportamento, gli atteggiamenti e talvolta perfino la personalità del soggetto interessato;
Viene valutato direttamente dal soggetto, il quale sa se ciò che sta apprendendo soddisfa le sue esigenze, se va nella direzione di quello che egli vuole conoscere, se serve realmente a colmare una lacuna da lui sentita come tale. La valutazione, quindi, in questo tipo di apprendimento è prerogativa di chi apprende;
La sua caratteristica essenziale è la significatività, quando si realizza questa forma di apprendimento, essa acquista intanto significato per il soggetto in quanto si integra, acquisendo un senso, nel quadro complessivo delle sue esperienze e dei suoi interessi.
Questo, secondo Rogers, è il modello da seguire.
Risulta talvolta difficile da attuare perché, nonostante ci sia la disponibilità da parte di insegnanti ed educatori, la scuola è ancora legata ad una metodologia antiquata che lascia poco spazio a questo tipo di apprendimento che, per riuscire, ha bisogno di prendere vita concretamente e assumere significato nella vita dei ragazzi, trasformandosi quindi in un apprendimento di tipo esperienziale e significativo.
Proposta questa distinzione tra i due poli dell’apprendimento, si vede ora cosa si intende per apprendimento in linea generale, quali sono le principali teorie sull’apprendimento, la motivazione ad apprendere e quali sono i fattori che influenzano positivamente l’apprendimento.
Osservando un processo di apprendimento si nota un mutamento del comportamento in seguito a un’interazione con l’ambiente. Durante l’interazione il sistema e l’ambiente si modificano entrambi, essi apprendono. Si tratta di un processo che è il risultato di esperienze che portano a sviluppare nuove modalità di risposta agli stimoli esterni. Quindi l’essere umano oltre ad essere biologicamente e naturalmente predisposto ad apprendere durante le sue tappe evolutive, lo fa anche in seguito alle interazioni con l’ambiente.
Rispetto alle teorie sull’apprendimento sono fondamentali i punti di vista e gli apporti forniti da Piaget, da Vygotskij e da Bruner nella seconda metà del Novecento, permettendo il passaggio da una concezione in cui l’apprendimento era inteso come processo passivo a una, invece, in cui esso inizia ad essere considerato come un processo dinamico.
Per Piaget, nella sua teoria dello sviluppo cognitivo, il bambino viene descritto come un “organismo” attivo, dotato di enormi potenzialità cognitive, egli è in grado di adattarsi all’ambiente fisico e sociale ed è capace di apprendere attraverso processi che diventano sempre più complessi. Lo sviluppo cognitivo viene considerato come il prodotto dell’interazione tra il soggetto e il suo ambiente, un processo evolutivo orientato e influenzato in primis da fattori neuro-biologici e successivamente da condizionamenti ambientali e sociali. Egli teorizza uno sviluppo che passa attraverso quattro stadi: senso motorio (0-2 anni), pre-operatorio (2-6 anni), operatorio concreto (6-12 anni) e operatorio formale (da 12 anni in poi). Queste fasi, secondo Piaget, si susseguono secondo un ordine universale e ciascuna di essa si differenzia per una peculiare organizzazione cognitiva differente dalle altre.
Per Vygotskij, il cui contributo è generalmente opposto a quello di Piaget, si attribuisce una maggiore influenza nello sviluppo del bambino al contesto sociale e culturale e alle differenziazioni psicologiche dipendenti da fattori ambientali. Infatti, secondo Vygotskij, l’apprendimento è considerato come un processo storicamente, socialmente e culturalmente condizionato, egli, inoltre, pone l’accento su due aspetti: lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori nel bambino e l’influenza delle variabili culturali sui processi cognitivi. Quindi, come Piaget, pone alla basi dello sviluppo cognitivo l’interazione dell’individuo con l’ambiente e condivide l’idea del bambino come co-costruttore attivo di conoscenze, tuttavia assegna un peso maggiore alla determinante ambientale che non a quella biologica. Partendo da questa idea egli afferma che l’apprendimento può precedere lo sviluppo nel caso in cui un bambino cognitivamente stimolato può essere in grado di risolvere in modo efficace compiti tipici di un’età mentale superiore alla sua. Da qui la formulazione del concetto di “zona di sviluppo prossimale”, ossia la distanza tra l’attuale livello di sviluppo del bambino e il livello di sviluppo potenziale, che si trova tra la prestazione spontanea e la prestazione mediata, ovvero il contenuto dell’apprendimento viene trasferito mediante un supporto esterno, definito artefatto cognitivo, che agevola l’apprendimento stesso. L’artefatto cognitivo è rappresentato da strumenti offerti dal contesto socio-culturale di appartenenza e possono essere cose, persone, strumenti esterni e materiali, strumenti interni e psicologici.
Bruner, invece, si pone in una posizione di mediazione tra quella di Piaget e quella di Vygotskij. Egli, infatti, considera valide e fondamentali entrambe le teorie e riprende da Piaget l’idea che l’apprendimento avviene in modo attivo e costruttivo e da Vigotskij che l’apprendimento è influenzato culturalmente e socialmente.
Quindi l’attività conoscitiva è regolata sia da fattori individuali, sia da fattori sociali e si nota come l’apprendimento sia un processo attivo che permette la costruzione di nuove idee e concetti, partendo dalle conoscenze pregresse e presenti.
Si può dire che, alla luce di quanto detto, l’apprendimento coinvolge sensazioni, emozioni, motivazioni, memoria, dimensione inconsapevole, fattori biologici e contesto sociale, storico e culturale in cui si vive.
Si chiarisce, quindi, come questa concezione porti a considerare l’apprendimento, per sua natura, come un processo che avviene sempre all’interno di un contesto relazionale, e il processo di questa conoscenza umana dipende da profondi fattori emotivo-affettivi in gioco in ogni relazione.
E’ questo il motivo per cui risulta fondamentale la costruzione di una buona relazione tra insegnanti e alunni e tra gli stessi alunni, imparando a riconoscere come questa stessa relazione sia una risorsa e il punto di partenza per apprendere.
Cosa facilita l’apprendimento?
La genuinità del facilitatore-insegnante: se egli si mostra come una persona vera, presentandosi per quello che è, entrando in rapporto con gli alunni senza nascondersi dietro un ruolo, è molto probabile che possa raggiungere risultati efficaci. Significa che egli consegue un contatto personale con i discenti, che li incontra su un piano personale. Significa che egli è se stesso, che non nega se stesso. E’ opportuno, quindi, che l’insegnante sia genuino nei rapporti con gli studenti, in tal modo egli sarà una persona per i suoi studenti e non solo un mezzo da cui proviene la conoscenza.
La stima, l’accettazione e la fiducia: si tratta, in un certo qual modo, di stimare gli studenti, i loro sentimenti, le loro opinioni, le loro persone. E’ una forma di interesse per gli alunni, si tratta di accettare individui diversi da noi come persone distinte, che hanno un valore intrinseco e sentire una fondamentale fiducia, ovvero la certezza che queste persone siano, in qualche modo, essenzialmente degne di fiducia.
E’ da qui che è possibile accettare il timore o l’esitazione dello studente che affronta un problema nuovo, così come la sua soddisfazione per averlo risolto. Si accetta l’occasionale apatia così come i suoi sforzi per raggiungere nuovi obiettivi. Si accettano sentimenti personali che contemporaneamente ostacolano e promuovono l’apprendimento. Tutto questo permette di stimare gli alunni come esseri umani imperfetti, così come tutti.
La comprensione empatica: è un altro elemento che serve a stabilire un clima favorevole all’apprendimento autonomo e sperimentale. Quando l’insegnante è in grado di comprendere le reazioni intime dello studente, e la sua sensibilità gli permette di essere consapevole delle impressioni che il processo educativo suscita nello studente, così aumentano le prospettive di un apprendimento significativo. Questo permette di spostare l’accento dalla valutazione a una sensibile partecipazione. Facendo un passo verso i banchi dei ragazzi, lasciando la cattedra.
La motivazione ad apprendere: nel linguaggio scolastico indica il coinvolgimento di uno studente nelle attività di istruzione. E questo è vero, tuttavia è necessario ampliare questo concetto poiché non è solamente lo studente ad intervenire nei processi motivazionali. Basandosi l’insegnamento su uno scambio tra insegnante e alunni, vediamo come ci siano più attori in gioco e che ciascuno, a suo modo, concorre in questo processo. Si parte dal presupposto, largamente assodato, che la motivazione sia una spinta che, appunto, spinge l’individuo ad agire. A questo, come anticipato poco fa, va aggiunto il concetto che il “luogo” della motivazione è quello che si crea tra l’allievo e l’insegnante. Di fatto, quindi, la motivazione non dipende solo dall’allievo ma è “distribuita” tra le parti in gioco a cui si faceva riferimento in precedenza. E’ stato dimostrato, infatti, che l’atteggiamento dello studente nei confronti delle attività scolastiche è influenzato dal modo in cui l’insegnante “struttura la classe” e quindi, in base al comportamento seguito dal docente, l’allievo percepisce la presenza o meno di fiducia e quindi la possibilità di migliorare oppure no. Altra componente che gioca un ruolo fondamentale è l’attrattiva con cui le attività didattiche sono proposte. Proprio per questo, nonostante sia ragionevole pensare che non sempre le discipline possano essere interessanti, il compito dell’insegnante è far appassionare l’allievo alla materia e, al contempo, di aiutarlo a trovare un significato positivo per sé in quello che impara. Infine, altro fattore fondamentale è la capacità dell’insegnante di stimolare e mantenere la motivazione degli studenti, ovvero stimolando il loro interesse e imparando a costruire la motivazione. Il modo in cui è possibile fare questo può essere sintetizzato in: attività significative, clima di collaborazione e accettazione in classe, consapevolezza degli studenti circa il percorso di apprendimento, strumenti per l’apprendimento, occasioni per riuscire e valutazione con “fiducia”.
Imparare ad imparare: compito degli insegnanti e della scuola è quello di insegnare a studiare, ad amare lo studio e la ricerca. Ciò è possibile individuando gli strumenti culturali di base, i prerequisiti che permettono ai ragazzi di studiare e di approfondire tutto ciò che nella vita può servire. Le discipline diventano così uno strumento anche per far comprendere perché quell’argomento deve essere studiato, del perché è utile ed importante per loro, non solo a scuola ma anche e soprattutto nella vita. Per suscitare il desiderio di sapere è importante fare delle attività e delle riflessioni che portino gli alunni a desiderare di sapere. Per rendere questo “apprendimento dell’apprendimento” è necessario che, oltre ai contenuti, siano spiegati perfettamente i passaggi mentali che servono per arrivare a capire il concetto insieme a tutte le difficoltà che si possono incontrare. Risulta quindi fondamentale mettersi nei panni di chi è in difficoltà. Altro aspetto fondamentale è insegnare ai ragazzi a studiare in autonomia, a capire da soli come arrivare a una certa affermazione senza ripetere conclusioni di altri. E’ importante insegnare a pensare ciascuno con la propria testa e ciascuno con il proprio sentire, in quanto ogni contributo è fondamentale proprio perché, essendo differente, è portatore di arricchimento. Inoltre, insegnare a fare da soli, è anche un allenamento all’autonomia e al rafforzamento della fiducia in se stessi e ciò è possibile solo quando si verifica che si riesce a fare da soli. E’ altrettanto importante per il raggiungimento di questo obiettivo, proprio come si è già detto, avere fiducia nei loro confronti. E ricordare che per ogni abilità servono prerequisiti differenti e strumenti particolari e specifici.
In conclusione, si può affermare come per apprendere ed imparare ad apprendere le componenti affettiva, emozionale e motivazionale, scaturita dalle precedenti, assumono pari importanza rispetto a quella cognitiva. Ciò è ancora più rilevante in presenza di una situazione del tutto nuova rispetto alla società mutevole in cui l’uomo moderno vive, in cui le cose cambiano velocissimamente. E la scuola, a sua volta, con i suoi processi educativi vive di riflesso questo cambiamento, perciò è importante imparare e acquisire conoscenze, abilità e competenze, è tuttavia ancora più importante per vivere in contesti sempre più mutevoli essere disponibili al cambiamento e ciò è possibile se si è imparato ad imparare. Questo è il grande obiettivo, e al contempo la grande sfida, della scuola di oggi. Fare un regalo ai bambini e ai ragazzi fornendo loro gli strumenti e le risorse per essere disponibili al mutamento, avendo fiducia nei processi più che nella staticità della conoscenza e creare una propria “cassetta per gli attrezzi” su cui contare per costruire la loro vita e “creare se stessi”. Solo il processo di ricerca della conoscenza costituisce una base di certezza in un mondo, quello moderno, sempre più incerto e sfuggevole.
La scuola, quindi, è necessario che si ricordi che formando i propri alunni sta formando anche i futuri cittadini ed è importante che si assuma questa responsabilità per contribuire ad accrescere la qualità del proprio territorio.

Bibliografia
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• C. Rogers, Libertà nell’apprendimento, Giunti Barbèra, Firenze, 1973;
• M. Smorti, R. Tschiesner, A. Farneti, Psicologia per la buona scuola, Libreria Universitaria Edizioni, Padova, 2016;
• E. Spalletta, F. Germano, Microcounseling e Microcouching, manuale operativo di strategie brevi per la motivazione al cambiamento, Sovera, Roma, 2012.

Categoria: Rivista n° 7 01/2019 | RSS 2.0

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